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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2011 alle ore 20:14.

In un periodo di suspense finanziaria come quello attuale il cinema americano indipendente riscopre la denuncia sociale, una funzione espressa in modo non estemporaneo negli anni Settanta, raccontandola in forma di thriller. Gli intrighi della prima grande crisi del 2008 sono al centro di "Margin Call" ambientato all'interno di una banca d'investimento alla vigilia del crack della "Lehman Brothers".

Anche se il gigante finanziario non è citato la trama allude al suo collasso: non a caso l'azione si svolge nell'arco di una giornata del 2008 ispirandosi ai momenti convulsi che portarono, il 16 Settembre di quell'anno, al suo fallimento. Presentato all'ultima Berlinale il film uscirà nelle sale americane in autunno (21 ottobre) quando si teme un nuovo "double dip", ossia un secondo tuffo dentro una nuova recessione altrettanto buia come quella di tre ani fa. Dopo la perdita, per la prima volta, della tripla A per gli Stati Uniti minacciosa all'orizzonte si profila la lettera W, che visualizza appunto il doppio tuffo. "Margin Call" è un atto di denuncia su come si nascondano "scomode verità", così facendo affondare i risparmiatori, in deroga al principio evocato proprio dal titolo: nel gergo finanziario è la chiamata in extremis del broker per informare il cliente che il titolo sta per crollare.

Diretto da un regista esordiente J.C. Chandor, ma con un cast di stelle (Kevin Spacey ,Jeremy Irons, Paul Bettany e Demi Moore), ha per protagonista positivo Eric Dale (Stanley Tucci) l'analista di bilancio che scopre che qualcosa non quadra nei conti della banca e perciò viene licenziato. È solo l'antefatto di una lunga notte della finanza a Manhattan, vissuta in cronaca diretta: alla fine di una insonne nottata al sorgere dell'alba scoccherà il fallimento della finanziaria dove i tre top manager senza scrupoli lavorano. Addio a incarichi, stipendi da nababbi e bonus da capogiro.

Un film contro un sistema spietato e cinico, si basa su una sceneggiatura inclusa nella top ten della black list 2010, responsabile dei drammatici momenti accaduti a migliaia di dipendenti, trovatisi per strada all'improvviso con gli scatoloni in mano. Mentre non riesce a seguire la fine toccata ai dirigenti responsabili della bancarotta al di là dell'addio alle posizioni di privilegio. Del resto non poteva essere altrimenti perché la storia tratteggiata allude soltanto alla madre dei crolli, senza fare i nomi di Dick Fuld, l'ex ceo della Lehman Brothers, o di Ralph Cioffi e Matthew Tannin, i gestori accusati di mentire ai loro clienti per nascondere il crollo dei fondi di Bear Stearns.

Ma che fine hanno fatto? Sembra che i maggiori responsabili abbiano riportato le minori conseguenze, cosa che il film non approfondisce poiché si ferma all'istantanea di quel giorno che vede un gruppo di persone amorali intente a salvare solo se stesse. Delle vite senza principi come il titolo di un noir a firma di Johnny To che sarà presente in concorso al Festival di Venezia: "Life without principle". È la storia di tre persone con disperato bisogno di denaro tra cui spicca un'impiegata di banca costretta a piazzare fondi ad alto rischio ai suoi clienti per raggiungere gli obiettivi di vendita assegnati. Un film di azione, come nel genere del maestro di Hong Kong, ma conferma un interesse del cinema a raccontare l'attuale crisi economica e prima ancora morale.

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