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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2011 alle ore 20:10.

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Esprimeva un misto di orgoglio e frustrazione, il discorso di Barack Obama in risposta al declassamento di Standard & Poor's. E non è un caso che ci abbia tenuto a dire che gli Stati Uniti hanno le «migliori università». Perché se in questo momento l'America vuole ribadire la propria leadership mondiale, forse l'unico terreno dove può con buoni argomenti farlo è quello dell'istruzione accademica e della ricerca. Proprio lui ha scommesso su una ricostruzione del Paese che parta dalla scienza e dalle sue ricadute culturali ed economiche. Nella tradizione dei Padri Fondatori, peraltro. Anche se non sarà facile.

In risposta alla crisi economica dell'autunno 2008 il governo Obama aveva effettuato numerosi tagli, aumentando però i finanziamenti alla ricerca di base: 4,7 per cento in più a tutte le agenzie da spendere nei successivi due anni (per la National Science Foundation il 7 per cento in più nel 2009 e il 6,7 per cento in più nel 2010 rispetto al 2009).
Ma i tagli ora previsti in base all'accordo con i repubblicani per il rientro dal debito, che riguarderanno la ricerca, si stimano dell'ordine di 21 miliardi di dollari nel 2012. E gli accordi prevedono un risparmio di mille miliardi da qui al 2030: quindi un futuro preoccupante per un sistema che spende prevalentemente in funzione di progetti di ricerca. Obama non può non essere orgoglioso, come americano, del riconoscimento di cui godono le università del suo Paese, da tutto il mondo apprezzate come le migliori, e le più imitate, perché governate quasi esclusivamente da una valutazione oggettiva e funzionale del merito. Insomma, se l'America non ha esportato la democrazia, come ingenuamente qualcuno credeva di fare quasi si trattasse di un manufatto, o si è vista conquistare economicamente da un Paese a capitalismo pianificato come la Cina, di certo ha imposto a tutto il mondo i criteri per competere nell'eccellenza scientifica e culturale in generale.

Ci sono però anche motivi di frustrazione. In primo luogo perché gli investimenti in ricerca di base - che sono gli investimenti sul futuro che hanno senso, ed è etico fare con i soldi delle tasse dei cittadini - non hanno una ricaduta immediata. Di certo arriveranno innovazioni formidabili dalle scoperte generate dagli investimenti in progetti che riguardano dalla fisica alle nanotecnologie, dalle neuroscienze alla chimica, dalla genomica alla matematica applicata all'information technology. Ma non si sa quando. E soprattutto, dato lo scenario mondiale, non è detto che saranno gli Stati Uniti a godere delle ricadute di queste innovazioni. Come è stato per quasi tutto il Novecento. Perché nel decennio scorso sono stati fatti sbagli che potrebbero avere pesanti conseguenze per il «Paese delle opportunità».

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