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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2011 alle ore 08:16.

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Incantati come un serpente davanti al suonatore di flauto, i lettori di Carlo Lorenzini-Collodi (Firenze 1826-1890), piccoli e adulti per diletto e per mestiere hanno spesso privilegiato le Avventure di Pinocchio (1881-1883), gettando sguardi un po' distratti sulle altre opere considerate a priori meno significative. In un unicum culturale è nata la disciplina autonoma definita euforicamente «Pinocchiologia», che ha avuto cultori fino al fanatismo in "pinocchiologi" valenti e no. Fra riverenza e minimizzazione, la parola riconosce, sì, a Pinocchio lo statuto di grande libro, ma di grande-libro-minore.
Chi definirebbe "promessisposiologo" lo studioso dei Promessi Sposi o "malavogliologo" quello dei Malavoglia? Pinocchio è un capolavoro, ma Lorenzini non è stato l'autore di un libro solo, né un signore che per caso ha iniziato la storia del burattino. Le varianti collodiane – pur nella fretta esecutiva della pubblicazione delle Avventure e di altri libri –, sottolineano quale intenzionalità di autore e stilizzatore del parlato Collodi avesse ogni volta. Luigi Suñer, suo intimo amico, lo ricordava attento alla pagina su cui ritornava di continuo per perfezionare lo stile. La complessa figura e la stratificazione della cultura resero Collodi acuto critico musicale, apripista dei Macchiaioli, volontario nelle prime guerre d'Indipendenza, giornalista libero e protagonista del Risorgimento. La Fondazione Nazionale Carlo Collodi ha tenuto a Collodi un convegno per ricordare la ricchezza della personalità di Lorenzini, per celebrare «130 anni di Pinocchio, 150 anni d'Italia» e presentare la Biblioteca Virtuale di Pinocchio, «una storia dalla carta ai pixel», facendo il punto sulle novità apportate dall'Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Lorenzini: documenti inediti, corrispondenze, fonti, riferimenti inconsueti, testi mai attribuiti prima, falsi Collodi annidatisi subdolamente nella bibliografia dell'autore...
Alludiamo in particolare alle Biografie del Risorgimento dedicate a Bettino Ricasoli, Camillo Cavour, Luigi Carlo Farini, Daniele Manin, ed edite la prima volta dal Marzocco nel 1941 in occasione delle «Onoranze fiorentine a Carlo Lorenzini (28-X- 1941-XIX)», quindi riproposte da Giunti nel 1981, con l'aggiunta di alcune riproduzioni del testo manoscritto, che non è della mano del Collodi. Nella prefazione gli editori scrivevano: «Questi brevi profili, se non aggiungono fama all'Autore, ricordano ai giovani che oltre al Collodi di Pinocchio, di Minuzzolo, di Giannettino, c'è anche un Collodi patriota e combattente che oggi è dovere ricordare. Non cerchi dunque il lettore, in queste pagine, la fantasia e l'arte dello scrittore, ma il documento che testimonia con quale amore e con quale fede egli sentiva e viveva le vicende della patria». In seguito alle leggi razziali, nel 1938 la casa editrice Marzocco era succeduta alla storica Bemporad, e, con il Paese in guerra, il fascismo incrementava la propaganda e stringeva le file. Così il 150enario dell'uscita delle Avventure di Pinocchio era fatto coincidere con il 19esimo anniversario della Marcia su Roma, nel quadro delle celebrazioni volute da Giuseppe Bottai e dopo una messe di "pinocchiate" – variazioni e riscritture delle vicende di Pinocchio – in linea con la pedagogia del regime, che additava ai giovani l'esempio di perfetto fascista italiano nel burattino di legno.
La storia delle Biografie rientra nel capitolo delle «avventure e disavventure di un povero collodista»: convinti, sulla scia del Collodi Nipote (ossia Paolo Lorenzini), dell'imborghesimento o ripiegamento – negli anni Ottanta dell'Ottocento – del più celebre zio, si è data un'occhiata un po' sbadata a questo volume postumo per constatarne la stanchezza, un certo formalismo retorico. L'anticonformista, rigoroso, Collodi che, negli stessi anni o in precedenza, veniva scrivendo e correggendo belle e sbarazzine pagine, oltre che in Pinocchio, in Macchiette, Occhi e Nasi, nel Viaggio per l'Italia di Giannettino, in Storie allegre e in tanti altri testi, solo in queste Biografie del Risorgimento diventa monocorde, inespressivo. Tuttavia, anche nell'abbozzo o nello scritto meno solido di un autore grande c'è sempre un guizzo, qualcosa che, sia pure per poco, consente di riconoscerlo. Si stenta però a riconoscere il Collodi, maestro di ritmo e d'impeccabile misura nelle scelte linguistiche e sintattiche, in frasi come: «Il Barone pronunziò in mezzo all'attenzione generale una stringente difesa di Garibaldi usando forti e vibrate espressioni che sono un monumento immortale della somma sua sapienza politica, dell'animo elevatissimo e di un patriottismo nobile e insuperabile. Da quel momento la questione sollevata contro il duce dei mille era distrutta» (p.17). Se solo ci allontaniamo dall'ottica pinocchiologica, la patologia nascosta che incombe sui collodisti, le Biografie del Risorgimento appaiono nella loro natura che sa di falso lontano un miglio. Potrebbe trattarsi di scritti tardi riemersi dai cassetti (Ricasoli morì nel 1880, gli altri molto prima); di conferenze tenute o progettate, ma una lettera del 4 maggio 1883 scoraggia subito. Declinando l'invito a fare una conferenza Lorenzini vi dichiara: «So di certo, anzi dicertissimo che Madrenatura mi ha negato ogni e qualunque attitudine a parlare e leggere in pubblico, ossia a fare il conferenziere, come costuma dire oggi». Singolare è che delle Biografie vi sia una copia manoscritta – e con calligrafia dall'apparenza più novecentesca che ottocentesca –, conservata presso l'Archivio della casa editrice Giunti; che non vi sia la minima traccia dell'originale collodiano, come accade invece con le «lettere dal campo» (Prima Guerra d'Indipendenza), diligentemente conservate a Firenze e a Reggio Emilia. Dove sono gli originali, se sono esistiti, tanto più preziosi in quanto pochi anni dopo la morte di Collodi cominciò a fiorirne il mercato degli autografi? Scorrendo le testimonianze e le bibliografie degli scritti su Ricasoli, Cavour, Farini, Manin, non sembra esservi alcun segno di eventuali profili o ricordi biografici di Collodi, ma questi era un giornalista famoso e non ci sarebbe stato motivo di tralasciarne il nome. Nel suo Collodi e Pinocchio (1954), non ne parla Collodi Nipote, che dello zio dice perfino della figlia segreta, frutto della relazione adulterina con una nota signora di Firenze. Ma quello che stona di più, oltre allo stile, sono i contenuti. Collodi, da uomo «tutto d'un pezzo» qual era, mantenne sempre una coerenza ideale, nonostante le sue opinioni politiche si evolvessero, come è normale, nell'arco della vita: per Garibaldi manifesta simpatia e ammirazione dagli anni del «Lampione» (1848-49, 1860-61) alla fine della serie dei «Giannettini»; Cavour lo lascia un po' freddo e non lo persuade del tutto neanche Ricasoli, tanto che nel maggio del 1860 Lorenzini rifonda il giornale politico-umoristico «Il Lampione», proprio per essere più libero di condurre la sua battaglia per l'unità nazionale. In queste Biografie, o meglio agiografie, Ricasoli e Cavour rifulgono come eroi, Garibaldi fa invece la figura dello scalmanato. Sarà, ma questo pare proprio un falso Collodi!...

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