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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2011 alle ore 08:18.

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Del resto già Charles Darwin sosteneva che gli animali superiori avessero le nostre stesse intuizioni, sensazioni, passioni, affetti ed emozioni, che fossero generosi e gelosi, vendicativi, ingannatori, capaci di provare gratitudine, suscettibili al ridicolo ma dotati di senso dell'umorismo. E per David Hume non esisteva verità più evidente del fatto che le bestie fossero dotate di ragione e pensiero come gli uomini. Per il filosofo vi era continuità tra uomo e natura. Una continuità evolutiva, diremmo oggi.
Dopo queste osservazioni è lecito chiedersi se negli animali esista una qualche forma di consapevolezza, accompagnata da un più o meno consapevole piacere nel fare del bene a qualcun altro. «Un appagamento – scrive Mainardi – che potrebbe essere in parte culturale e in parte rispondente a un'esigenza "scritta dentro" in ogni individuo di specie sociale. Ciò semplicemente perché il comportarsi altruisticamente, per degli individui sociali, produce evolutivamente una convenienza, un'adattività». Niente scuse però. Se secondo gli autori la risposta alla domanda se la moralità abbia basi biologiche è quasi certamente affermativa, ciò non significa che la biologia abbia l'ultima parola sulla moralità.
«Gli animali sono amici così gradevoli: non fanno domande, non criticano» scriveva George Eliot. Sicuri?
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Marc Bekoff, Jessica Pierce, Giustizia Selvaggia. La vita morale degli animali, B.C. Dalai, Milano, pagg. 280, € 18,50

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