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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2011 alle ore 16:27.

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Da 25 anni, ogni estate, è lo spettacolo più atteso del Festival. Fino a qualche anno fa, solo un numero esiguo di spettatori - critici, giornalisti, operatori - poteva varcare i cancelli della Fortezza Medicea del carcere toscano per condividere un'esperienza, umana e artistica, unica, che vede come protagonisti un manipolo di detenuti-attori diventati in breve tempo autentici professionisti sotto la guida luminosa del regista Armando Punzo.

Di anno in anno il numero di spettatori ammessi è andato allargandosi fino ad invadere, quest'anno, oltre al tradizionale cortile, più luoghi del carcere. La nuova formula ha, infatti, concentrato quasi tutta la programmazione festivaliera tra le mura reclusorie adattando i diversi spettacoli negli spazi possibili e con il pubblico che segue i vari percorsi. Formula che vorrebbe preludere ad un auspicato "carcere aperto", la creazione cioè di un teatro stabile all'interno con gli artisti esterni che possano lavorarvi. Una metodologia di lavoro – questa di Punzo – che continua a creare cultura in carcere manifestando una volontà di resistenza e sopravvivenza della Compagnia della Fortezza contro chi la osteggia e vorrebbe farla morire. Ecco allora l'attinenza col titolo scelto per questa edizione "Romeo e Giulietta. Mercuzio non vuole morire". Assurgendo a simbolo di una lotta sociale e politica, lo "spirito libero" del dramma scespiriano è il portatore di poesia e di sogni, colui che si batte contro l'indifferenza di tutti. A partire dallo stesso Romeo che, dopo la lunga tirata sulla Regina Mab, con la sua superficiale battuta "Basta Mercuzio, tu parli di niente!" è come averlo condannato a morte, togliendogli la capacità di sognare. E di essere.

Questa frase è diventata il punto di partenza per lo spettacolo. Tra mazzi di rose a terra ed enormi pannelli con immagini fotografiche sbilenche di due piazze "ideali", quella dei Priori, di Volterra, e del carcere – la città libera e quella oppressa - è lo stesso Punzo, nel ruolo del protagonista, ferito dalla lama di Tebaldo, a non voler soccombere.

Spadaccino energico e baldanzoso, duella senza sosta pure con quelle architetture, in una lotta impari. Si accascia e si rialza, arringa gli altri personaggi dalle mani insanguinate e dai costumi dipinti di colonne e torri, quali pietre vive della città. Ripete ossessivamente l'immortalità della poesia. Ci conduce dentro i corridoi del carcere tra creature magrittiane e luciferine; dove vaga una Giulietta col modellino del balcone che le incornicia il volto; dove frate Lorenzo è sostituito dal vero cappellano dell'istituto; e dove ci accolgono gli altri detenuti-interpreti invitandoci ad entrare nelle stanze tappezzate di immagini di diavoli, di disegni leonardeschi, di navi omeriche, di sagome beckettiane. In ciascuna cioè irrompono citazioni letterarie tratte da Dante, dall'"Ulisse" di Joyce, da Calvino, Pessoa, Goethe, incluso uno struggente "Lamento di Didone" di Purcell cantato a più riprese dal bravissimo controtenore Maurizio Rippa. Il finale, che ci riporta all'esterno, è affidato ai versi di Majakovkji urlati al microfono da Mercuzio-Punzo ricomparso con un pugnale sulla schiena e vestiti clowneschi mentre s'accascia a terra tra le sagome di bambini con palloncini in mano, simbolo di una speranza destinata a non soccombere.

Com'è destinata, il prossimo anno, ad una seconda fase lo spettacolo, che diventerà anche un film, e ad un progetto di totale incursione all'esterno della città, la prossima edizione del festival.
"Romeo e Giulietta. Mercuzio non vuole morire", drammaturgia e regia Armando Punzo, scene Alessandro Marsetti e Silvia Bretoni, costumi Emanuela dall'Aglio, musiche Andrea Salvadori. A Volterrateatro.

www.volterrateatro.it

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