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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2011 alle ore 08:16.

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Una società con forti disuguaglianze nell'accesso, di principio o di fatto, alle risorse – materiali, culturali, di riconoscimento – necessarie per sviluppare appieno le proprie capacità e per essere in grado di scegliere il tipo di vita che si vuole vivere, non è solo ingiusta. È anche una società che spreca la propria risorsa più preziosa: il capitale umano.
Semplificando, si può dire che le disuguaglianze sociali fondamentali sono di due tipi. Esse riguardano da un lato l'accesso alle risorse materiali, dall'altro il potere di influire sulle condizioni di vita proprie e altrui e di ottenere riconoscimento. Le prime sono di tipo distributivo, le seconde di tipo relazionale e culturale. Entrambe concorrono a disegnare una stratificazione sociale delle chances di vita che poco dipende dalle caratteristiche individuali e molto invece dallo status sociale.
Talvolta i due tipi di disuguaglianza si sommano, come avviene in molti casi di povertà e marginalizzazione sociale gravi, quando alla carenza di risorse materiali si aggiunge l'isolamento sociale e la perdita di capacità di progettare un cambiamento. La scarsità di risorse materiali, infatti, oltre ad incidere sulla salute e sulle speranze di vita, incide anche sugli orizzonti personali e famigliari. Le ricerche degli psicologi sociali, ad esempio, hanno mostrato che chi appartiene ai gruppi sociali più svantaggiati ha non solo progetti di vita più ridotti, ma un orizzonte temporale su cui proiettarli più breve di quello cui si riferiscono viceversa coloro che sono più fortunati. Come sostiene l'antropologo Appaduray dal punto di osservazione dei gruppi sociali più poveri nei paesi in via di sviluppo, la capacità di aspirare a un futuro migliore, è la risorsa più a rischio, ma anche la più preziosa, per chi è economicamente e socialmente deprivato. È una capacità individuale, le cui condizioni tuttavia sono socialmente strutturate.
Ci può tuttavia essere benessere materiale senza riuscire ad avere influenza sociale e accedere al pieno riconoscimento come soggetti dotati di diritti, dignità, capacità. È il caso degli immigrati, specie dai Paesi in via di sviluppo, e di alcune minoranze etniche, cui non si riconosce pari valore negli scambi sociali, e che sono spesso oggetto di stereotipi. È anche stata storicamente l'esperienza delle donne, escluse dal potere sociale, ma spesso anche dall'accesso alle risorse culturali e simboliche, incluse quelle che consentono l'elaborazione di forme di (auto)rappresentazione autonoma. Una esperienza solo in parte superata. In molti Paesi, tra cui l'Italia, questa costrizione in stereotipi riduttivi, è stata ed è tuttora anche l'esperienza degli omosessuali, considerati come esseri umani insieme "danneggiati" e dannosi; per questo anche con minori diritti civili e sul piano delle relazioni affettive degli eterosessuali. In tutti questi casi, l'orizzonte del possibile è fortemente vincolato non tanto dalle caratteristiche individuali quanto dal modo in cui queste, o meglio una particolare tra queste – il sesso, l'orientamento sessuale, l'origine migratoria, la razza, la religione e così via – sono costruite socialmente come difetto da chi detiene il controllo sia della formulazione delle norme che delle modalità di rappresentazione sociale e dell'accesso al discorso pubblico.
Entrambi questi tipi di disuguaglianza, dunque, nella misura in cui – agendo insieme o separatamente – riducono in modo serio e permanente le potenzialità degli individui che si trovano deprivati dell'uno o dell'altro tipo di risorse, danneggiano la società in cui vivono, rendendola meno ricca umanamente e culturalmente, meno capace di innovazione perché troppo attenta a preservare lo status quo sia sul piano della distribuzione delle risorse economiche e del potere che su quello delle forme di legittimazione e di (auto)rappresentazione. Alcune ricerche suggeriscono che danneggiano anche il benessere psico-fisico di chi si trova in situazioni di vantaggio, segnalando, ad esempio, come in società caratterizzate da forti disuguaglianze ciò ha un impatto negativo sulla salute della popolazione nel suo insieme, non solo su quella di chi è più svantaggiato. Inoltre, una società con forti disuguaglianze di entrambi i tipi rischia non solo l'immobilismo, ma anche di alimentare l'irresponsabilità sociale e persino etica di chi è più fortunato, contemporaneamente alimentando sfiducia e minando la coesione sociale. Ogni patto sociale assume le apparenze di una imposizione e imbroglio quando le condizioni dei contraenti sono troppo asimmetriche.
La povertà dei bambini è un caso esemplare non solo di «disuguaglianza ingiusta», fondata com'è, esclusivamente sull'origine di nascita, ma anche del corto circuito che può crearsi, a livello individuale, tra povertà materiale e riduzione delle capacità e, a livello collettivo, tra incidenza e gravità della disuguaglianza e impoverimento complessivo della società. Nel caso dei bambini, infatti, la povertà ha effetti di lungo periodo molto più incisivi per le chances di vita di chi la sperimenta che non la povertà degli adulti, influendo negativamente sia sullo sviluppo e la salute fisica, sia sulla possibilità di accedere ad adeguate risorse per lo sviluppo complessivo. I risultati delle indagini Pisa sulle competenze cognitive dei bambini e adolescenti ne sono un indicatore, per quanto rozzo e parziale. Segnalano come in Italia esistano forti divari nelle competenze cognitive tra i ragazzi a seconda della classe sociale e della residenza geografica. Ciò suggerisce indirettamente come, a parità di livello di disuguaglianza di origine, vi siano sistemi sociali che riescono a compensarla meglio, quindi a meglio salvaguardare le chances di vita (e libertà) di chi non è fortunato nell'origine di nascita, perciò anche a meglio salvaguardare l'integrità e lo sviluppo del proprio capitale umano. Non sono solo i ricchi e democratici Paesi del Nord Europa ad aver da tempo compreso che contrastare la povertà e più in generale le disuguaglianze tra i bambini è insieme un atto di giustizia e un necessario investimento nel proprio futuro. A questa conclusione sono giunti anche diversi Paesi in via di sviluppo a governo democratico. Investire nella salute, istruzione, benessere dei più piccoli e dei più poveri è in molti di essi una priorità nella agenda politica, anche in contrasto con l'ortodossia del Fondo monetario internazionale. Una priorità singolarmente assente nell'agenda politica italiana.

TAG: Fmi, Italia

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