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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2011 alle ore 08:17.

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Era cresciuto nel multietnico impero austro-ungarico e aveva studiato nella Vienna dell'ultimo scorcio dell'Ottocento, venata da sempre meno sotterranei fermenti nazionalistici e da prorompenti fermenti artistici e letterari. Al politecnico della capitale danubiana aveva studiato matematica e scienze naturali, ma aveva anche seguito corsi di filosofia e di letteratura. Aveva recensito per la Deutsche Wochenschrift le sessioni del Parlamento dell'impero, dominate da un intersecarsi di lingue e aspirazioni diverse. Aveva avuto modo di conoscere pregi e difetti di quel magmatico mondo multiculturale sempre più proteso verso l'abisso di un drammatico declino, tanto da decidere di inseguire l'armonia dei contrari, il principio dell'associazione invece che quello della concorrenza, e il diritto d'uso invece che la proprietà.
Come altri esponenti del mondo di lingua tedesca tra Ottocento e Novecento, con un sustrato austro-ungarico, Rudolf Steiner (1861-1925) si provò in un Gesamtkunstwerk che altro non era se non la vita stessa, vissuta sull'asse di equilibrio tra ragione e sentimento, tra collettività e individuo, tra scienza e mistica, e fu per questo adorato da alcuni e bollato come ciarlatano da altri. «Sono un anarchico individualista», diceva di sé, eppure con le sue teorie antroposofiche raccolte in 308 volumi, permeò scienze e filosofia, pedagogia e agricoltura, medicina ed economia, danza e design, e la sua "filosofia della libertà" riuscì ad evere un seguito perdurante fino ai giorni nostri. Che oggi si parli di didattica o di architettura organica, di cibo biodinamico o di tutela del suolo, di medicina naturale o di economia responsabile, il nome di Steiner torna con forza. Le sue "scuole Waldorf" sono 2000 nel mondo, marche di cosmetici hanno costruito la loro fortuna sui suoi princìpi, artisti, architetti e designer si ispirano ai suoi insegnamenti.
A 150 anni dalla nascita il Museo di Arti Applicate di Vienna (Mak) dedica a Steiner una mostra che già nel titolo rimanda all'impegno a tutto campo del padre dell'antroposofia: fino al 25 settembre «Alchimia del quotidiano» propone in collaborazione con il Vitra Design Museum di Weil am Rhein (dove sarà dal 15 ottobre), al Kunstmuseum di Wolfsburg e al Kunstmuseum di Stoccarda una scelta di duecento oggetti, che nella tappa viennese si arricchisce anche di manufatti e documenti con focus sulle radici austro-ungariche del suo pensiero.
La consona cornice del Mak pone in risalto la compattezza di una filosofia di vita che produsse non soltanto il complesso architettonico svizzero di Dornach, ancor oggi sede delle attività steineriane, e che il suo fondatore elesse a residenza stabile nel 1923 per prendere le distanze dal l'astro nascente del nazismo, ma anche il mobilio progettato appositamente per favorire il benessere di chi vi soggiornava. Giustapposti ad esempi analoghi di rinomati progettisti – da Adolf Loos a Josef Hoffmann, da Van de Velde a Hector Grimaud – sedie e scrivanie, armadi e letti, ma anche gioielli e sculture, sono un esempio tangibile di un'idea calata nella realtà di tutti i giorni. Un centinaio di tavole a gessetto colorato o tempera, di pugno dello stesso Steiner, illustrano le sue teorie e possono essere confrontate nei loro influssi su opere di Kandinsky, Joseph Beuys o Olafur Eliasson; mentre la ricostruzione di due "stanze cromatiche" per la cromoterapia del 1913 evoca paralleli con le "camere orgoniche" di un altro austro-ungarico di quel periodo, ugualmente acclamato e denigrato: Wilhelm Reich.
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Rudolf Steiner. Alchimia
del quotidiano, Vienna, Mak
fino al 25 settembre.
Catalogo Vitra Design Museum

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