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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2011 alle ore 08:17.

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Dan Ariely è uno dei più famosi e autorevoli esperti di economia comportamentale. Il suo primo libro, Predictably irrational, pubblicato in italiano da Rizzoli, è diventato un successo mondiale e ha portato il suo lavoro all'attenzione del grande pubblico, anche grazie alla sua straordinaria capacità di comunicare le ricerche più tecniche e specialistiche in un linguaggio semplice, accattivante e sempre venato di una bonaria ironia. Ariely è uno spirito (e un cervello) libero, e per seguire i suoi interessi e le sue curiosità non si preoccupa di percorrere strade che possano magari non coincidere con le regole non scritte della rispettabilità accademica. Una delle sue ricerche più celebri, che gli è valsa il premio IgNobel per la Medicina nel 2008, riguarda il modo con cui uno stato di eccitazione sessuale cambia la valutazione che le persone danno di certe scelte. La ricerca, che essendo condotta come sempre per via sperimentale richiedeva ai soggetti di raggiungere in determinate condizioni un effettivo stato di eccitazione sessuale, dimostrava molto chiaramente che in tale stato si prendevano decisioni molto più rischiose per la propria salute di quanto i soggetti stessi tendevano a fare a mente fredda, suggerendo molto chiaramente come gran parte delle politiche di prevenzione delle malattie trasmesse sessualmente, tra le quali naturalmente in primo luogo l'Aids, risultavano fatalmente inefficaci perché erano basate su argomentazioni rivolte all'io razionale delle persone, che però, nel momento in cui tali scelte venivano effettivamente compiute, aveva una scarsissima capacità di controllo su di esse. Malgrado il suo nome, il Premio IgNobel è a suo modo un premio serio, che punta i riflettori su ricerche che possono sembrare comiche o paradossali nelle loro modalità o nei loro risultati, ma che fanno riflettere. E sicuramente, se si legge nel dettaglio la descrizione della preparazione del l'esperimento di Ariely e dei suoi risultati, pubblicata nel suo primo libro, c'è sia da ridere che da pensare, e molto in ambedue i casi.
Se questa breve descrizione vi fa pensare a Dan Ariely come a un brillante e spiritoso professore e autore di successo internazionale, e quindi magari a invidiarlo bonariamente un po', è forse meglio sapere qualcosa in più della sua biografia: all'età di diciotto anni, Ariely fu seriamente ferito dallo scoppio di una bomba nel corso di un attentato terroristico, che gli procurò ustioni sul 70% del corpo e lo costrinse a sottoporsi a cure lunghe e dolorosissime, che costituirono per lui un durissimo ma straordinario laboratorio di osservazione delle reazioni umane di fronte ai mille fattori che possono influenzare le proprie decisioni, e sperimentandone i risultati, letteralmente, sulla propria pelle.
Questa esperienza, oltre ad aver segnato per sempre la sua vita, è stata anche il viatico per individuare la sua vocazione scientifica, che lo porta a lavorare oggi, allo stesso tempo, in quattro dipartimenti: economia, business, psicologia, e medicina. Come in pochi altri casi, dunque, si può affermare che il successo di Ariely sia strameritato per il coraggio e la generosità con la quale ha saputo superare difficoltà e prove che avrebbero annientato psicologicamente molti di noi.
Questo vissuto personale spiega forse anche perché, pur essendone uno studioso profondo e attento, Ariely tenda a considerare l'irrazionalità umana in modo molto diverso da quello più popolare tra i suoi colleghi economisti: per lui, l'irrazionalità non è soltanto un limite che ci fa prendere a volte decisioni di cui ci pentiamo, ma anche una straordinaria risorsa che ci permette di raggiungere traguardi che al mitologico homo oeconomicus che tanto ha affascinato la teoria economica degli ultimi due secoli sarebbero spesso assolutamente preclusi: fidarsi degli altri, godersi la fatica di raggiungere i propri obiettivi, amare i propri figli.
Se nel suo primo libro Ariely si era concentrato soprattutto sulle distorsioni prodotte dal comportamento irrazionale, e quindi soprattutto su possibili difetti da correggere, in questo secondo libro egli insiste piuttosto proprio su quegli elementi del comportamento irrazionale che stanno alla base della produzione dei significati della vita di ogni giorno, come nel cosiddetto "effetto Ikea", che ci porta a sopravvalutare gli oggetti che noi stessi fabbrichiamo non tanto per il loro valore estetico o per la loro utilità effettiva ma perché, letteralmente, contengono "qualcosa di noi".
Oppure, la nostra ostinazione nel persistere in scelte che ci sono costate profonde sofferenze personali, perché al di là dei vantaggi e degli svantaggi oggettivi nel portarle avanti, la persistenza diviene l'unico modo per dare un senso alle sofferenze che abbiamo patito, per riscattare i momenti dolorosi della vita.
Oppure, ancora, la nostra propensione a vendicarci di un torto subito anche a costo di sopportare conseguenze negative e svantaggi personali, per provare la soddisfazione di ribadire l'importanza e il valore di un determinato principio di giustizia o di equità.
Ariely ha davvero una fantasia inesauribile nel concepire i suoi esperimenti: ai soggetti coinvolti può essere chiesto veramente di tutto, dal confezionare degli origami al partecipare a sessioni di speed dating. A differenza del primo, che mantiene un taglio espositivo più scientifico per quanto piacevolmente scritto, il nuovo libro di Ariely è molto più diretto e personale, è pieno di riferimenti autobiografici e, cosa rarissima per uno scienziato, è costruito in primo luogo sull'osservazione delle proprie debolezze, delle proprie défaillances, e quindi ci conduce, con un candore e una naturalezza quasi commoventi, all'interno della sua vita, del suo mondo quotidiano, dei suoi sogni e delle sue paure.

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