Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2011 alle ore 18:24.

My24

Il Lower Manhattan Cultural Council, che sponsorizzava il mio lavoro al WTC, prese accordi affinché io potessi trasformare in camera oscura la cucina priva di finestre della banca abbandonata proprio lì affianco. Era il 1999. In piena crisi economica in Asia, quella banca aveva chiuso i battenti all'improvviso e abbandonato i suoi uffici. Aggirandomi nei loro locali mi imbattei in vecchi biglietti per gli Yankee, in un paio di pantofole di pelle, in tutto ciò che si erano semplicemente lasciati dietro. Il grande computer che in precedenza doveva essere stato ben dritto nel suo scaffale di metallo su rotelle, alto forse tre metri e mezzo, era stato completamente sventrato. Dentro di esso sistemai un'installazione cinematografica, intitolata "Peep Show". Per assistere alla proiezione del filmato, con la pellicola illuminata da dietro e attivata da un sensore di movimento, si doveva guardare attraverso una fessura della porta o dalla griglia di ventilazione collocata frontalmente alla porta.

Con la mia enorme macchina fotografica di cartone scattai molte foto alle varie finestre dell'edificio. Le immagini riproducevano soltanto ciò che gli occhi potevano vedere, ma in bianco e nero e alla rovescia: ciò che era chiaro risultava scuro, ciò che era scuro chiaro. Sviluppai queste fotografie nella camera oscura in banca, distendendo i negativi di oltre due metri di lunghezza in mastelli utilizzati di solito per la carta da parati, riempiti di soluzione chimica.

Ciò nonostante, non mi piacevano ancora Lower Manhattan o il WTC durante il normale orario di lavoro. A fine mattinata inforcavo la bicicletta e partivo da Brooklyn, lavoravo al WTC fino alle tre di notte, prendevo la sotterranea attraverso Williamsburg Bridge e in bicicletta percorrevo l'ultimo tragitto fino a casa. Sette giorni su sette.
Al novantunesimo piano mi sentivo alquanto sola. Distaccata. Per certi aspetti, al sicuro.

Al WTC le notti erano popolate da gente di tutt'altro tipo: traslocatori, personale addetto alla manutenzione, personale delle pulizie. Eravamo rilassati, cordiali, chiassosi; di notte sembrava che perfino l'edificio respirasse meglio. Trascorsi molte pause in piena notte a chiacchierare con un tipo delle pulizie, seduta su un secchio da venticinque litri capovolto nel suo stanzino degli attrezzi. Mi raccontò del suo passato, in Romania. Vedemmo uno scarafaggio arrivare fino al novantunesimo piano semplicemente risalendo a una tubatura!

Appesi le fotografie di grande formato all'interno delle finestre: ogni immagine di oltre due metri era attaccata alla propria lastra di vetro alta oltre due metri. Ne risultò qualcosa di singolare. Sembrava quasi che il vetro avesse cambiato di posto rispetto all'immagine. Fuori dalla finestra il mondo era in bianco e nero e rovesciato, e quando il sole sorgeva o tramontava si colorava di tonalità rosacee.

Nella prima quindicina del mese di settembre del 1999, New York City fu investita in pieno dall'uragano Floyd. Lassù al novantunesimo piano l'edificio ondeggiò e scricchiolò, come un'imbarcazione di legno. Per camminare sul pavimento erano necessari concentrazione ed equilibrio. Io appesi al soffitto un filo a piombo e sul pavimento sparsi della sabbia. I bruschi ondeggiamenti della torre durante l'uragano rimasero impressi sulla sabbia.

Lasciai New York City per una borsa di studio postuniversitaria presso il Fine Arts Work Center di Provincetown, e alla fine del 1999 ritornai al WTC per allestire un'ultima istallazione nell'ammezzato. La mia idea iniziale era stata quella di preparare un aeroplano accartocciato e sistemarlo in un angolo. Ma lo spazio era talmente vasto e aveva così tante superfici che qualsiasi tentativo di esprimere una sensazione di monumentalità era destinato a fallire.

Così lavorai in senso opposto. "Where We Are Going, Where We Have Been Santos-Dumont" consisteva di "corni oculari" – lunghi coni realizzati con pagine arrotolate del New York Times – montati ad altezze differenti e disposti tutto intorno alla balaustra dell'ammezzato. Ogni "corno oculare" era puntato verso un minuscolo caccia F-16 nero. L'aeroplano era sospeso proprio al centro del grande ammezzato, ed era circondato da enormi fiocchi di neve che lo staff del WTC aveva appeso per le feste natalizie. Senza l'aiuto di quel corno non si riusciva a individuare quel piccolo puntino nero. Grazie a esso, invece, l'aeroplanino era appena un po' più visibile che a occhio nudo.

A distanza di dodici anni, sono schiacciata dai ricordi. L'annientamento del World Trade Center non è stato devastante soltanto in sé e per sé. È stato anche prontamente asservito all'odio e alla guerra.
Sopraffatta, non ero riuscita nemmeno a recuperare le mie sensazioni e i miei ricordi. Fino a questa estate.
© Mary Jane Dean, 2011
(Traduzione di Anna Bissanti)

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi