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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2011 alle ore 08:16.

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«L'identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquista dell'unità politica»: queste parole di Benedetto XVI contenute nella Lettera agli italiani per il 150° dell'Unità sono cariche di ambiguità. Infatti, dietro il messaggio papale che ha accompagnato l'ostentata partecipazione ecclesiastica alle cerimonie per l'anniversario del Regno d'Italia, si cela una visione contraffatta del Risorgimento. Non c'è chiarezza sulla laicità, questione fondante della nostra storia nazionale negli anni in cui si sviluppò il movimento unitario e, in seguito, presupposto delle istituzioni dello Stato liberale in formazione. Lo spirito laico non può essere espunto dalla nostra storia unitaria, né variamente distorto come fa la pubblicistica cattolico-tradizionalista ignorando che fu alla base dei movimenti – moderati, liberali, democratici e repubblicani – che ricongiunsero l'Italia all'Europa moderna.
Il messaggio di Benedetto XVI guarda al Risorgimento con un filtro scuro sull'idea laica che connotò lungo l'intero Ottocento il rapporto tra Stato e Chiesa e la concezione dei diritti individuali. Tanta pubblicistica cattolica, sulla scorta del Vaticano, continua a sottovalutare la formazione dello Stato nazionale e a esaltare, in opposizione, una preesistente identità di popolo che, per quanto vera, non può essere ritenuta l'elemento essenziale dei movimenti sviluppatisi tra il '48 e il '70. Per ridimensionare il significato del Risorgimento, il vertice d'oltretevere svilisce le leggi liberali – definite «laiciste» – promosse dal parlamento subalpino prima e da quello italiano poi a opera della Destra. È vero, sostiene il pontefice, che «il processo di costruzione dello Stato unitario dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi» che «ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani», ma ciò accadde perché si estendeva ai «territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento fortemente laicista». Con questo messaggio inviato agli italiani che celebrano l'unità patriottica simboleggiata da personalità – Cavour, Garibaldi, Mazzini e Cattaneo – schierate necessariamente contro la Chiesa, il mondo cattolico ufficiale continua a parlare sulla falsariga del modulo antirisorgimentale del «laicismo anticattolico», invece di prendere atto delle forze politiche e ideali artefici della trasformazione del Paese che allora entrò nella modernità laica e liberale caratterizzante i maggiori Paesi europei. Il messaggio di Benedetto XVI rinsalda interpretazioni correnti nel mondo ecclesiastico e negli ambienti politici e intellettuali neo-clericali, chiaramente espresse anche dal pamphlet del cardinale Giacomo Biffi L'unità d'Italia. Centocinquant'anni 1861-2011. Contributo di un italiano cardinale a una rievocazione multiforme e problematica. «Che l'ideologia risorgimentale – derivata dall'Illuminismo settecentesco, enfatizzata dalle intemperanti esperienze francesi – inducesse un certo disorientamento morale nel nostro popolo e di fatto lo inaridisse spiritualmente, è un fondato timore che preoccupò alcuni tra i più pensosi uomini politici della nuova Italia», afferma Biffi che attribuisce la responsabilità del «disorientamento» alle leggi eversive (le Siccardi sul foro ecclesiastico e la disponibilità dei beni della Chiesa; la secolarizzazione dell'insegnamento e la soppressione degli ordini religiosi) che attuavano l'ordinamento laico voluto da Cavour e dalla sua corrente liberale. Anche l'unificazione territoriale del Sud con il Nord sotto la legislazione del Regno d'Italia ispirata al principio separatista, è considerata dal cardinale un'eredità negativa dell'Unità d'Italia: «È stato un dramma politico e sociale la fusione precipitosa di due realtà così lontane e disparate come l'area lombardo-piemontese e l'area meridionale. È stato un dramma amministrativo l'improvvisa assimilazione centralizzata delle forme di governo degli antichi Stati. Ma soprattutto è stato un dramma spirituale e morale che a motivare e a concludere il processo unitario fosse un'ideologia deliberatamente antiecclesiale». Ma – viene da chiedersi – che cos'altro dovevano fare i patrioti unitari, di fede monarchica o repubblicana, di destra o di sinistra, di fronte a una Chiesa che non volle trattare con i liberali su Roma capitale e che, più tardi, rifiutò le Leggi Siccardi che garantivano l'autonomia del Papa e la libertà religiosa?
È sempre il cardinal Biffi che sostiene come sia «esiziale per l'intelligenza delle cose italiane il ravvisare la nostra identità nazionale» – raggiunta con lo Stato unitario del Risorgimento – «soltanto come frutto di ciò che è avvenuto nel secolo XIX», poiché «non ci è dato di rappresentarci secondo verità la storia d'Italia e spiegare la sua eccezionale capacità di esprimere valori universali e assoluti, se prescindiamo dalla presenza della Chiesa Cattolica». A questa tesi ha risposto con limpidità Benedetto Croce: «Prima del 1860, vi sono realmente le storie dei regni di Napoli e Sicilia, del regno di Sardegna, dello Stato pontificio, del granducato di Toscana, dei possedimenti di casa d'Austria, e via discorrendo, e variamente specificando col risalire il corso dei tempi, ma non c'è una storia d'Italia». È sì vero che nel pamphlet cardinalizio non si leggono più rimpianti temporalistici (da tempo liquidati anche dalla Chiesa ufficiale) e che l'unità politica della penisola è considerata come «un aspetto positivo della vicenda risorgimentale», ma ciononostante viene contestata la laicità quale pilastro dei movimenti risorgimentali e dello Stato che ne è risultato. Anche il cardinale pretende che le parole laico e laicità siano accompagnate dall'aggettivo «sano» o dall'avverbio «sanamente», esprimendo così la consueta diffidenza, se non addirittura estraneità, al concetto filosofico e politico che ci è stato consegnato dalla tradizione civile. Biffi scrive: «Nell'attuale sviluppo storico noi pensiamo uno Stato "sanamente laico", cioè a uno Stato che nelle scelte fondamentali si ispira ai valori emergenti della natura dell'uomo...»; e quindi cita il Discorso alla città pronunziato dal cardinale Giacomo Colombo nel 1992: «Lo Stato moderno non può essere "confessionale" in nessun senso: non in senso religioso, per esempio cristiano... e nemmeno in senso laicistico, se per laicismo intendiamo – come spesso è dato di riscontrare di fatto – una particolare concezione del mondo e dell'uomo d'ispirazione immanentistica e illuministica, che nega i valori trascendentali o li confina nel segreto della coscienza individuale». Come non essere d'accordo con i cardinali quando indicano che lo Stato non deve essere mai «confessionale»? A noi tuttavia pare che i due autorevoli prelati dovrebbero riconoscere senza linguaggi involuti che la concezione non integralistica dell'uomo e delle istituzioni ha una semplice denominazione – laico – da usarsi per quel che è, senza aggettivazioni, anche quando si riferisce alla storia del Risorgimento e all'Unità d'Italia.

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