Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2011 alle ore 14:01.

My24

«Arcinfamissima, ruffiana, strega, maliarda», inveisce la famosa pittrice contro una dama fiorentina che l'aveva accusata di furto in casa del suo amante. «Poltrona»! «Puttana». Una storia a tratti torbida, di bellissima pittura e denaro, di potere e passione, quella d'amore vissuta da Artemisia a Firenze, a Roma e a Napoli, con Francesco Maria Maringhi, ricco rampollo di un'antica famiglia dell'aristocrazia fiorentina, e naturalmente appassionato di pittura.

Ritrovate la scorsa primavera nell'Archivio dei marchesi Frescobaldi a Firenze, ci si sente a tratti quasi a disagio nel leggere le ventuno lettere scritte da Artemisia Gentileschi a Francesco Maria Maringhi, le uniche interamente autografe della pittrice a noi note redatte in una prosa scorretta ma profonda, sgrammaticata ma colta, che cita Petrarca e l'Ariosto, Ovidio, le Rime di Michelangelo, e ovviamente il Tasso.

Si apre un mondo di emozioni e poesia nel sentire le sincere dichiarazioni d'amore dell'autrice delle Giuditte e Cleopatre, Maddalene, Susanne e Betsabee, intrinsecamente legate alle eleganze letterarie e teatrali del Chiabrera e del Rinuccini, del Buonarroti e del Salvadori, e prossime al nuovo mondo dei drammi in musica e del recitar cantando sperimentati in quegli anni alla corte di Toscana. Mentre traduceva la pittura del Caravaggio in una sua cifra nuova, narrativa e teatrale, preziosa e seducente, la pittrice viveva una passione sconvolgente, dal desiderio lascivo e «lussurioso», che a Roma, nella primavera del 1620, a seguito della sua rocambolesca fuga da Firenze, era amplificato dalla lontananza dell'amante. Passione da lei descritta e dipinta come mai donna poté al suo tempo.

Ma lo sfondo d'interesse riaffiora anche nei momenti di massima tenerezza, e la pittrice ci appare spesso irretita da un'irrefrenabile ambizione di ricchezza, dall'interesse sociale ed economico, quintessenza d'ogni mésalliance, che porterà il gentiluomo fiorentino alla rovina. Ricatti, gelosie, imbrogli e debiti sempre da saldare, s'intrecciano nelle nuove lettere con promesse d'amore e dichiarazioni di fedeltà da parte della pittrice, che visse sempre al di sopra delle proprie possibilità, nell'estenuante bisogno di affermare il suo stato di Signora. Attraverso i nuovi autografi, messaggi intimi e personali, parla l'autodidatta che viveva circondata da artisti, uomini di potere, letterati, affascinati dal suo carattere, forza, innata disinvoltura e, naturalmente, dalla sua pittura.

Testimone dall'amore di sua moglie per il patrizio fiorentino, è il marito della pittrice, Pierantonio Stiattesi, autore di quattordici lettere indirizzate allo stesso gentiluomo con le quali, da Roma, lo informa minuziosamente della vita coniugale e dei successi di Artemisia. Leale parassita, difensore dell'onore della moglie, e suo compagno affettuoso, Pierantonio non ostacola il sentimento del gentiluomo, anzi lo alimenta magnificando le prodezze della madre dei suoi figli. Deferente verso Francesco Maria, dal quale è stato evidentemente molto aiutato, Stiattesi è compiacente e racconta, in una prosa corretta e ben articolata, ricca di proverbi e massime, le loro avventurose vicende: le liti con il padre e i fratelli, l'attentato al Tassi, la morte del piccolo Cristofano, le visite eccellenti di principi e cardinali che onorano la pittrice, sempre al lavoro per sbarcare il lunario. Ricche di notizie, le carte di Pierantonio ci informano su dettagli fondamentali per la comprensione delle tecniche e della creazione di Artemisia: l'uso abituale dei cartoni, la presenza di aiuti e collaboratori nella bottega.

Figlio naturale del nobile Niccolò Maringhi e d'una Caterina, donna del popolo, Francesco Maria era egli stesso il frutto di una mésalliance e provava senza dubbio tenerezza e simpatia per i difetti della sua camaleontica scalatrice, la cui personalità l'aveva completamente stregato. La ritroverà a Firenze nel 1621, quando la pittrice gli venderà, per la rilevante cifra di 165 ducati, le masserizie e i quadri restati sigillati per un anno nella sua casa di piazza Frescobaldi, dopo la fuga. Sarà con lei a Roma nel 1623, al suo ritorno da Costantinopoli, e a Napoli nel '35, dove Artemisia, donna libera e Signora, protetta dai poteri di Stato e Chiesa, aveva impiantato una florida e prestigiosa bottega. Ancora da scandagliare, il periodo napoletano fu tra i suoi più produttivi; la donna continua a dipingere e a incantare, legata alla letteraria Accademia degli Oziosi, ritrae il poeta Girolamo Fontanella che le risponde in una sua raccolta del 1640, dedicandole un sonetto per celebrare quel dipinto e il fascino carismatico dell'autrice: «Tu Donna, in cui lo ciel virtù comparte / Dentro il color d'avvelenar l'Oblio, / Prendi il pennel, c'hai da l'alato Dio, / E di me pingi ogni composta parte. / Me, ch'un'ombra in Amor somiglio errante / Fra' miracoli tuoi stupendi, e novi, / Deh con l'ombre, che fai rendi spirante, / Ma temo poi, se'l pennel tu movi, / Da' tuoi begli occhi fulminato amante, / Onde vita sperai, morte non trovi».

Collège de France, Cnrs - Paris

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi