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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2011 alle ore 08:16.

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La notizia della morte di Miles Davis (28 settembre 1991) non colse di sorpresa la comunità del jazz (Miles era ricoverato a Santa Monica per problemi polmonari) ma sembrò ugualmente incredibile. Sono venti anni da quel giorno e la memoria di Miles – senza mezzi termini il più importante jazzista di sempre, un'icona di stile ed eleganza – non solo non è passata, ma si rafforza.
Negli ultimi anni, la riproposizione in digitale di tutta la sua opera (esistono sontuosi cofanetti in commercio) permette di scoprire sempre nuove accezioni delle sue musiche. Forse è per feticisti cercare di avere tutta la musica di Miles, ma gli appassionati (lo dimostrano i numeri) non si fanno scoraggiare. Arrivano ora dalla Columbia i bootleg del Live in Europe del 1967 (3 cd e un dvd) del secondo grande quintetto davisiano, durato dal 1965 al 1968: Wayne Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams. (drums).
Ma anche l'Italia prepara le celebrazioni. Una mostra e due concerti a Reggio Emilia, intanto. Verranno esposte foto, copertine, pubblicistica e – cuore della mostra – documenti audio e video: l'intera discografia di Miles navigabile dal visitatore (merito di Enrico Merlin, il maggior esperto di discografia davisiana al mondo), il meglio delle sue esibizioni e interviste. E poi due concerti. Uno di Shorter (appunto!), l'altro del più grande trombettista davisiano d'Italia: Paolo Fresu. Con il Devil Quartet in «DevilDavis» – appositamente concepito per il festival Aperto – Fresu suonerà il 7 ottobre al Teatro Ariosto (Fresu, tromba; Bebo Ferra, chitarra elettrica; Paolino Dalla Porta, contrabbasso; Stefano Bagnoli, batteria). In attesa che arrivi in Italia la stupenda mostra «We Want Miles» che ha furoreggiato a Parigi e Toronto. Davisiani d'Italia, uniamoci. Nella speranza di (ri)vederla.
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