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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2011 alle ore 11:46.

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Alejandro AravenaAlejandro Aravena

Non lasciatevi suggestionare dai fantasmi della revolución e dagli occhi verdi di Camila Vallejo: quello che sta accadendo in Cile è solo rumore, rigurgiti no-global scoppiati con qualche anno di ritardo che – come un film masterizzato malamente sul pc – si replicano nei vari luoghi del mondo. A parlare, collegato via Skype dalla sua casa di Santiago del Cile, non è un pericoloso politico della destra neo-conservatrice, né tantomeno un intellettuale dei tempi andati: l'uomo capace di spiazzare quelli che leggono le proteste degli studenti cileni con il filtro del romanticismo europeo è Alejandro Aravena, l'architetto che ha rivoluzionato il concetto di social housing nel mondo.

Anche in quel caso, però, attenzione a intravedere una spinta "terzomondista" nel suo pluripremiato progetto Elemental, unità abitative popolari costruite con un budget di 7.500 dollari per casa: il cileno è un pragmatico business man, poco interessato agli slogan di piazza e molto alle potenzialità dell'architettura: «l'unica disciplina che permette di avere grandissime ambizioni su piccola scala».

Premiato con il leone d'argento alla Biennale di Venezia del 2008 come miglior architetto emergente e con l'Index Award nel 2011, Aravena, 44 anni, non è solo uomo da piccoli numeri. Mentre le sue abitazioni a basso costo di 36 mq venivano richieste dal Messico a New Orleans, Aravena ha progettato la facoltà di Medicina e la biblioteca dell'Università Cattolica del Cile, e le Torri Siamesi di Santiago. «Frequentavo l'università durante gli anni della dittatura di Pinochet e non avevo idea di cosa significasse lavorare per il "pubblico": l'ho scoperto andando ad Harvard, dove, confrontandomi con i cileni espatriati, ho scoperto in che modo il mio mestiere poteva diventare un'azione politica».

L'idea di Aravena è semplice: prendere dal "Primo Mondo" le idee, i sogni, la visione e adattarli alle risorse del "Terzo Mondo", o, come dice lui, «mischiare le ambizioni di New York con i problemi di Santiago». Secondo l'architetto il Paese di Sebastián Piñera ha tutte le caratteristiche per realizzare il suo ideale di «sintesi»: «A differenza dei brasiliani o dei messicani che hanno un'identità culturale millenaria – spiega –, la nostra è più fragile quindi più aperta alle contaminazioni». Inoltre, continua, «il contatto privilegiato con gli Stati Uniti d'America che deriva dagli anni della dittatura ci ha dato l'opportunità di vedere i benefici e i pericoli del mondo globalizzato prima dei nostri vicini di casa». È da questa consapevolezza che nasce la nuova generazione cilena: gli architetti Matthias Klotz, Cecilia Puga, Eduardo Castello; lo scrittore Alberto Fuguet con il movimento letterario McOndo che debutta nel 1996 per opporsi al «realismo magico» sudamericano, e recita nel manifesto: «Mi sento completamente a mio agio a descrivere il mondo che ho attorno, seduto alla mia scrivania a Santiago del Cile: un mondo che mi arriva attraverso la televisione, la radio, internet e il cinema e che rielaboro nei miei romanzi. I miei romanzi latinoamericani». Ancora gli artisti Alfredo Jaar, Carolina Saquel, Voluspa Jarpa e i registi come Alejandro Amenabar e Andrés Wood.

Nonostante l'economia corra a una velocità vicina a quella della Cina (il Pil cileno cresce a ritmi tra il 5 e il 6% all'anno), il Cile è un Paese dove le disuguaglianze sociali sono profonde. Aravena definisce i suoi connazionali frustrated achievers, vincenti frustrati: «Credevamo che con la fine della dittatura il Paese sarebbe cambiato, che la qualità di vita nelle città sarebbe migliorata ma non è stato così». C'è una scena del nuovo film di Andrés Wood sulla vita della cantante e artista cilena Violeta Parra, Violeta se Fué a Los Cielos, capace di rappresentare il conflitto ancora vivo nella società: «Violeta reduce dai successi del tour europeo, sta cantando nel circolo per soli uomini più esclusivo di Santiago – racconta –. A un certo punto viene interrotta perché è il momento di servire la cena agli ospiti. Il caposala chiede alla cantante se vuole mangiare e davanti alla sua risposta affermativa dice: "Allora vada in cucina"». Aravena spiega che una scena così potrebbe riproporsi con la pop star o l'artista nazionale del momento: «Il Paese è stato stabilizzato economicamente da un club ristretto di uomini, tutti gli altri esclusi, e la divisione in caste permane ancora oggi: le opportunità continuano a essere per pochi, lo status sociale dipende dal cognome e dai vestiti che indossi».

L'architetto è tuttavia convinto che il riscatto non possa arrivare dagli studenti in piazza che sono «il simbolo di un'attitudine riot alla vita» ma dalla nascente e operosa middle class professionale e intellettuale: «Gli studenti sono cristallizzati nel tempo: la loro è una protesta contro la modernità – puntualizza – in continuità con quelle di tutti i movimenti che, da Londra a Madrid, rifiutano tout court la globalizzazione, e ostacola il progresso del Paese». Quello, secondo il quarantenne architetto, passa dalle abitazioni sostenibili e dalle leggi del mercato.

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