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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2011 alle ore 14:15.

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Le biblioteche di tutta Europa conservano migliaia di libri dedicati all'arte di una "memoria artificiale" che ponga rimedio alla debolezza della memoria naturale. L'arte si basava sul forte potere che le immagini esercitano sulla mente e sulla loro collocazione in una serie ordinata di "luoghi". Attribuita al mitico Simonide di Ceo (che dopo un distruttivo terremoto elencò i partecipanti a un banchetto ricordando il posto che occupavano a tavola) l'arte della memoria è presente nel mondo greco, attraversa la cultura latina con Cicerone e Quintiliano, viene riproposta alla cultura medievale da Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, è utilizzata dai grandi predicatori, conosce una vera e propria esplosione dall'età del Rinascimento fino a oltre la metà del Settecento. Delle artes memorandi discutono Giordano Bruno, Francis Bacon e Comenio, a esse si appassiona Leibniz.

Fino all'età di Kant, tutte le persone colte sono a conoscenza dell'esistenza delle arti della memoria e del loro funzionamento. Senza aver compreso la funzione della "memoria artificiale" e i compiti che a essa venivano attribuiti non si capisce quasi nulla né della funzione delle immagini nell'arte del Cinquecento, né del grande enciclopedismo del Seicento, né delle origini della logica combinatoria, né delle prime appassionate discussioni sulle classificazioni presenti nella botanica e nella zoologia.

Dopo il Settecento l'arte memorativa scompare. Nel senso che non occupa più un posto di rilievo nella cultura. Diventa una specie di fossile intellettuale e viene riproposta, sul piano delle dimostrazioni di abilità nei teatri del tardo Ottocento e del primo Novecento. Mary Carruthers, che ha già pubblicato nel 1990 un libro importante sulla memoria nel Medioevo, lavora su un terreno molto più ampio. Il modello classico, descritto qui sopra, non è - questa la tesi centrale del libro - la principale forma di mnemonica presente nella cultura medievale. In quei mille anni le strutture meditative della retorica dei monaci medievali riprendono "solo apparentemente" lo schema classico.

Essi non utilizzano (come nella tradizione "ciceroniana") un edificio reale, ma costruiscono un edificio completamente fittizio. Fittizio non è tuttavia sinonimo di immaginario. I loro edifici mentali esistono come parole di un testo - la Bibbia - che viene di continuo rivisitato. La mente di ogni monaco contiene una serie di strutture, derivate dalla Bibbia, utilizzabili a scopo cognitivo. Carruthers distingue con finezza le varie tradizioni che compongono l'articolato mosaico della memoria, sottolinea con forza le differenze tra quelle tradizioni, insiste moltissimo sul carattere "creativo" della memoria monastica e la contrappone più volte alla tradizionale ars memorandi classica.

Molto spesso le sue critiche colgono nel segno, ma una notevole propensione a previlegiare punti di vista radicalmente originali la conducono a polemizzare non solo con Frances Yates, ma direttamente con l'ars memorandi (che viene da lei definita come la capacità di «incamerare concetti che possano poi essere rigurgitati al momento opportuno»). Quell'arte serviva proprio a ricordare nozioni in modo estremamente fedele e assai poco creativo. Proprio la «memoria inesauribile» di un amico che rigurgitava «non solo le parole, pronunciate molti anni prima, ma anche i verbi, i tempi e i luoghi» suscitava, alla metà del Trecento, l'incondizionata ammirazione di Francesco Petrarca. Resta comunque indubbio che da questo libro non potrà prescindere chiunque intenda occuparsi (da un qualunque punto di vista) del tema "memoria".

Mary Carruthers, «Machina memorialis. Meditazione, retorica e costruzione delle immagini: 400-1200», Edizioni della Normale, Pisa, pagg. 518, € 35,00

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