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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2011 alle ore 14:14.

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La Divina Commedia è un raro esempio di poesia che si insinua da subito nella lingua quotidiana. «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa», «più che 'l dolor potè 'l digiuno» e così via: ancora oggi il poema ci offre frasi proverbiali, ancora oggi plasma la nostra memoria. L'aveva già notato Gianfranco Contini, il quale ha anche mostrato come all'interno del testo la memoria agisca, a distanza, attraverso la ripetizione di formule ritmiche e foniche.

Di memoria, del resto, Dante era ben dotato, come ci racconta Boccaccio. E soprattutto la memoria aveva, ai tempi di Dante, un ruolo e un'importanza che noi abbiamo dimenticato, tanto che nelle scuole, nelle università, nelle comunità monastiche si insegnavano tecniche per rafforzarla. Non si trattava di una memoria puramente passiva, ma di una memoria legata all'immaginazione e quindi alla capacità di ricreare, di inventare. Si insegnava a plasmare la mente, a costruirvi complesse architetture, scale, alberi, giardini, tappe di un percorso che poteva condurre a una trasformazione interiore, fino a un incontro col divino. Sappiamo che queste tecniche venivano usate da mistici e predicatori.

E non possiamo pensare – fatte le debite distinzioni – che siano state importanti anche per la Divina Commedia? Frances Yates per prima ha fatto notare che la struttura della Divina Commedia è anche un sistema di memoria dei vizi e delle virtù; le tre cantiche delineano infatti un percorso di luoghi il cui ordine viene via via puntigliosamente spiegato. I gironi dell'Inferno, le cornici del Purgatorio, i cieli del Paradiso ci mettono sotto gli occhi il sistema morale; gli incontri con i diversi personaggi funzionano da immagini della memoria, nel senso che aiutano a capire e a ricordare la natura specifica del peccato che è condannato e della virtù che è premiata.

Che nella Divina Commedia sia presente un ordine preciso e visualizzabile è cosa nota. Basta vedere gli schemi che ancora oggi compaiono nelle edizioni del poema. Ma sono soprattutto i personaggi che restano scolpiti nella nostra memoria: i loro gesti, le loro parole, li fissano in una dimensione sospesa fra storia e eternità, in una tensione che Auerbach ha interpretato nei termini della figura biblica. Come diventano anche attori nel teatro della memoria? Harald Weinrich ha mostrato che Dante usa a questo scopo il contrappasso: lo sottolinea Bertran de Born, («Così osserva in me lo contrapasso», Inferno, XXVIII, 142), una delle apparizioni più terribili e fantastiche dell'Inferno: un busto decapitato che cammina reggendo la propria testa per i capelli.

Egli è punito tra i seminatori di discordia perché ha spinto il figlio a ribellarsi contro il padre, re d'Inghilterra: ha lacerato il corpo dello stato, ha separato la testa dal busto. Il contrappasso dantesco prende la metafora alla lettera, la reifica, ce la mette sotto gli occhi. È così che i dannati diventano immagini di memoria sia del peccato commesso sia della giustizia divina. Ma c'è qualcosa di più che rende straordinariamente efficace il lavoro di memoria che il poema mette in atto, quello che Dante chiama «la puntura de la rimembranza» (Purgatorio, XII, 20). L'atto di ricordare trascina infatti con sé le emozioni, come leggiamo in alcuni dei passi più famosi dell'Inferno. «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria», dice Francesca da Rimini e Ugolino : «Tu vuo' ch'io rinovelli / disperato dolor che 'l cor mi preme». La memoria appassionata riguarda non solo i personaggi, ma lo stesso Dante, come vediamo subito, all'inizio del poema:

«Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / che la diritta via era smarrita. / Ahi quanto a dir qual'era è cosa dura / esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!» (Inferno, I, 1-6).

Qui, così come in molti luoghi soprattutto dell'Inferno, il tema della memoria appassionata si lega al contrasto dei tempi verbali: c'è il passato, il tempo del pellegrino, del Dante personaggio, e c'è il presente, il tempo del poeta che ricorda e commenta. Ma proprio la forza emotiva della memoria tende a rompere ogni distinzione: si intreccia con il contrappasso e cerca di annullare ogni barriera fra corpo e psiche, fino a incidersi nel corpo, nei gesti, nelle sensazioni fisiche. Pensiamo ad esempio alla Caina, dove i traditori dei parenti sono infitti nel lago ghiacciato: «Poscia vid'io mille visi cagnazzi // fatti per freddo; onde mi vien riprezzo // e verrà sempre, de' gelati guazzi» (Inferno, XXXII, 70-72).

Un'esperienza sensibile, propria del mondo terreno – la vista dei «gelati guazzi», degli stagni gelati – richiama alla mente la scena infernale. L'orrore morale si prolunga nell'orrore fisico, nell'insopportabile sensazione di gelo che l'esperienza terrena rigenera, ogni volta, per analogia. Un altro esempio ci viene dal girone dei superbi: camminano con una fatica indicibile, piegati a terra sotto il peso di macigni. Il contrappasso rende visibile il carattere della colpa e Dante a sua volta camminerà piegato, così da fare assumere al proprio corpo la stessa posizione dei penitenti, fino a quando Virgilio non lo invita a riprendere la posizione eretta. Di grande fascino è il modo in cui Botticelli illustra l'episodio. Egli sottolinea il progressivo curvarsi del personaggio Dante: alla fine il suo stesso corpo esprime la «puntura de la rimembranza» del peccato della superbia. L'immagine coglie così dal vivo quell'imprimersi della memoria nel corpo che noi abbiamo inseguito nelle pieghe del testo.

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