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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2011 alle ore 14:15.

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Quando si è giovani il rapporto con alcune opere d'arte può essere sconvolgente. Lo era ad esempio per il giovane Elias Canetti, che ricorda così il piacere e il dolore, la fascinazione e il tormento, che negli anni Venti gli procurava una grande tavola di Rembrandt: «A Francoforte, per arrivare allo Stadelsches Kunstinstitut, si deve attraversare il Meno. Contemplavo il fiume e la città, e poi respiravo profondamente, per trovare il coraggio di affrontare la cosa terribile che mi attendeva.

Sansone accecato dai Filistei, il grande quadro di Rembrandt, mi spaventava, mi torturava e m'incatenava lì». (Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931), Milano, Adelphi, 1994) In quella scena violenta e affascinante Canetti riconosceva qualcosa di cui sua madre l'accusava: di essere cioè volutamente cieco di fronte alla realtà, e alla dura legge economica su cui si fonda. Il quadro di Rembrandt gli permetteva di proiettare altrove il rimprovero della madre, di dargli una forma diversa e insieme familiare. Così del resto, egli ha scritto, vivono le immagini dei grandi artisti del passato: attraversano il tempo e gettano delle reti, che via via qualcuno raccoglie.

A quel punto esse tornano vive e acquistano nuova forza e nuovi lineamenti. Raccontandoci dal vivo le sue esperienze Canetti ci mette di fronte a uno dei paradossi che caratterizzano le opere d'arte: esse conservano nel profondo le stigmate del proprio tempo ma sono anche capaci di viaggiare attraverso i confini delle diverse età, di ritrovare e in un certo senso di ricreare via via nuovi interlocutori.

Ma il gioco col tempo può essere quanto mai complesso anche dentro un'opera d'arte. Vi possono convivere tempi diversi, così da creare sul pubblico un effetto spiazzante. Come si verifica questo nelle opere del Rinascimento? Come affrontano i grandi cambiamenti introdotti dalla stampa, che rende riproducibili anche le immagini? Come accade che citazioni di tempi diversi entrino nel cuore di un'opera, fino a diventare quasi manifesti di poetica, espressioni di una intera concezione dell'opera d'arte, e della sua storia? E quali sono i confini fra copia, falso, citazione? Questi i temi centrali di un libro affascinante e difficile, di quelli che richiedono al lettore un impegno che però non delude. A cominciare dal titolo Anachronic Renaissance, che vuole indicare non ciò che è anacronistico, ma appunto ciò che ha a che fare con i diversi modi di ricreare il tempo. Lo hanno scritto due giovani storici dell'arte che insegnano alla New York University e a Yale e che hanno al loro attivo libri e articoli importanti, che già hanno fatto discutere.

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