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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2011 alle ore 12:49.

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L'alba del pianeta delle scimmieL'alba del pianeta delle scimmie

Pedro Almodóvar cambia genere: dopo aver sviscerato tutti gli aspetti del melodramma, dai difficili rapporti familiari di «Tutto su mia madre» all'autobiografismo de «Gli abbracci spezzati», il regista spagnolo passa al thriller, a tinte quasi horror, con «La pelle che abito», il titolo certamente più atteso tra le uscite del weekend.

Presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes, dal quale è però tornato a mani vuote, «La pelle che abito» racconta la storia di Robert Ledgard, eminente chirurgo plastico interpretato da Antonio Banderas, la cui moglie muore carbonizzata in un incidente d'auto. Il tragico evento spinge il medico a finalizzare il suo lavoro alla ricerca di un nuovo tipo di pelle che avrebbe potuto salvarla: dodici anni dopo la scomparsa della donna, grazie all'aiuto di una cavia umana, i suoi sforzi sembrano aver finalmente raggiunto l'obiettivo.

Se nella prima parte del film le diverse sequenze che scivolano malamente nel grottesco involontario fanno sentire il peso di un così netto cambio di registro autoriale, nella seconda le tipiche ossessioni almodóvariane escono allo scoperto insieme agli intricati nodi narrativi che, svelandosi uno dopo l'altro, vengono rapidamente al pettine.

Lo stile manierista dell'autore spagnolo è sinuoso come sempre, ma manca l'equilibrio registico delle sue opere migliori: ne deriva un prodotto rischioso e affascinante al tempo stesso che, probabilmente, farà felici i fan del regista e verrà disprezzato dai suoi detrattori.

Operazione curiosa è anche «L'alba del pianeta delle scimmie», reboot (termine sempre più usato anche per prodotti da grande schermo) della saga iniziata nel 1968 con il capolavoro di Franklin Schaffner. Il regista del film, Rupert Wyatt, ha scelto di raccontare come le scimmie abbiano iniziato a prendere il controllo della Terra, a causa dell'arroganza di un gruppo di scienziati. Il siero per sconfiggere l'Alzheimer, che gli studiosi hanno sperimentato sugli animali, ha creato una mutazione genetica nel cervello delle scimmie, in grado di innalzare esponenzialmente la loro intelligenza al punto di renderle in grado di ribellarsi contro chi le considerava soltanto materiale da laboratorio.

Sebbene il progetto risulti suggestivo, una trama scontata e la continua presenza di momenti spudoratamente retorici lo rendono un prequel di cui non si sentiva troppo il bisogno. Nel cast, meglio Andy Serkis che, grazie alla performance capture, interpreta lo scimpanzé Caesar rispetto ai due "umani" protagonisti, James Franco e Freida Pinto.

Poco riuscito è anche «Niente da dichiarare?», la nuova commedia di Dany Boona tre anni di distanza dallo straordinario successo di «Giù al nord». Ambientato all'inizio del 1993, quando in Europa cadono le barriere tra i vari paesi, il film ha per protagonisti un doganiere belga e uno francese costretti a lavorare insieme per preservare i rispettivi posti di lavoro. Il sapore da commedia vintage, con riferimento ai film con Louis de Funès degli anni '60, non basta a rendere più gustosa una pellicola con pochi spunti e ancor meno trovate in grado di far divertire lo spettatore.

Nonostante la messa in scena sia prevalentemente scolastica, Dany Boon riesce meglio a sfogare il suo istrionismo attoriale quando non deve pensare anche alla regia: ne è la prova, ad esempio, la sua ottima performance ne «L'esplosivo piano di Bazil» di Jean-Pierre Jeunet. L'accoppiata comica tra lui e Benoit Poelvoorde inoltre risulta meno efficace rispetto a quella con il bravo Kad Merad in «Giù al nord».

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