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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2011 alle ore 08:14.

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In un saggio del 1921 il filosofo Nicolai Hartmann sostenne che il rapporto mente-cervello è destinato a diventare il destino della ragione, perché essa, pur non essendo in grado di capirlo, non può ignorarlo. Chi se ne occupa – disse Hartmann – può contribuire a chiarire il dilemma o a renderlo ancora più confuso. L'osservazione vale per tutta la letteratura sul tema. Dopo molti e riveriti saggi di neurofilosofia e monografie sulla mente, Damasio affronta l'aspetto più complesso del rapporto mente-cervello, e cioè la coscienza. Il filosofo John Searle lo ha ringraziato per avergli chiarito in un'email quel che voleva dire. Pur apprezzando il libro, pensa però che non sia sulla buona strada. Neanche la recensione-saggio di Searle («New York Review of Books», 9 giugno 2011) aiuta a capire il lavoro di Damasio. Un lettore della rivista (29 settembre 2011) chiede ai due autori che senso abbia occuparsi con tanto accanimento di un problema insolubile.
La ricerca naturalistica ha trovato aree della corteccia attive nelle attività di mente e coscienza, delle quali, entro certi limiti, si conoscono le attività elettro-chimiche. La metodologia della ricerca, che cerca di capire se e in che misura la correlazione fra eventi mentali e aree cerebrali attive è causale, è ben strutturata, e i protocolli che accompagnano le comunicazioni sono dettagliati ed esaurienti. La ricerca punta alla conoscenza delle connessioni fra le aree corticali e sottocorticali, alla plasticità della corteccia a seconda delle esperienze, al ruolo dei geni e della distribuzione causale dei neuroni, alle conseguenze dell'invecchiamento sui processi cognitivi. La scoperta della sincronizzazione delle cellule di reti neurali geneticamente omogenee nei processi della coscienza è stata, ad esempio, fondamentale per capire la formazione e il funzionamento delle mappe neuronali. La coscienza – gli scienziati lo sanno – percepisce sé stessa senza potersi capire o spiegare, perché il cervello è a un tempo il soggetto che studia e l'oggetto studiato. Damasio vede invece nell'attenzione quasi esclusiva ai meccanismi nervosi di talamo e corteccia a scapito del tronco encefalico una delle cause della mancata comprensione della natura della coscienza.
In realtà già dagli anni 50, quando si scoprì la sostanza reticolare, è noto il ruolo chiave del tronco encefalico nella vigilanza, condizione indispensabile, ma non sufficiente, per la coscienza. La persona in stato vegetativo permanente, ad esempio, nella quale il tronco encefalico funziona e la corteccia no, è vigile ma non cosciente. Per sostenere che il tronco encefalico produce quantomeno un barlume di coscienza, Damasio descrive la condizione degli idroanencefalici, cioè di nati privi di corteccia, senza che si capisca in che cosa essi siano diversi da persone in stato vegetativo. Egli ritiene che lo stato vegetativo sarebbe più blando («milder») del coma, mentre, in realtà, in entrambe le condizioni la coscienza non c'è perché la corteccia ha cessato di funzionare. Damasio incorre nell'errore di considerare segno di coscienza residua l'attività spontanea o provocata di piccole aree corticali, quando è indiscusso che la coscienza richiede l'attività di gran parte della corteccia. E qui nasce il dubbio su quel che egli intenda per coscienza.
Il titolo del libro Self comes to Mind («L'io arriva alla mente») è la sintesi della idee di Damasio, che, per la loro oscurità, non sono facili da riassumere. Il primo passo del cervello sulla via della coscienza sarebbe la mente inconscia, risultato dell'aggregazione di mappe corticali flessibili diffuse in tutto il cervello. Che cosa s'intenda con «mind» non è chiaro, perché gli aggregati delle mappe sarebbero «cose ed eventi estranei collocati fuori dal cervello ... e a questo stadio ancora totalmente inconsci». L'unica interpretazione possibile è che la mente inconscia, primo passo dei meccanismi del cervello verso la coscienza, sarebbe l'insieme di ciò che si percepisce, prima che sia percepito. Il cervello crea l'Io (Self), di cui Damasio – riprendendo in parte William James – descrive tre stadi e che considera essenzialmente costituito dai qualia (senso di piacere, dolore, il senso dell'esperienza eccetera). Quando l'Io, che non è un nucleo del cervello, ma un processo nervoso, si aggiunge («is added») al processo fino allora inconscio della mente, nasce la coscienza, che è «uno stato della mente in cui c'è la conoscenza di sé stessi e dell'ambiente». Quanto ci sia d'arbitrario in questo modello della coscienza è evidente se si considera che, se la coscienza nasce dall'incontro dell'Io con la mente, l'Io fino a quel momento deve essere un meccanismo inconscio. L'Io però, per Damasio, è l'insieme dei qualia, che sono parte dei meccanismi nervosi dell'esperienza del mondo esterno e di sé stessi, cioè parte essenziale della coscienza.
Pagine non prive d'interesse su descrizioni fenomenologiche dei qualia, del feeling delle emozioni, della memoria si alternano a modelli speculativi d'eventi per i quali l'approccio naturalistico sarebbe indispensabile. Il libro di Damasio è la conferma che le riflessioni sulla coscienza senza riferimenti ai correlati nervosi sono costruzioni spesso lussureggianti, ma che non spiegano nulla.
ajb@bluewin.ch
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Antonio Damasio, Self Comes to Mind. Constructing the Conscious Brain, Heinemann, London, pagg.368, £ 25,00

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