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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2011 alle ore 21:50.

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Sergio Bonelli (Ansa)Sergio Bonelli (Ansa)

Ho conosciuto Sergio Bonelli dieci anni fa, quando ebbi il piacere e l'onore di ricevere dalle sue mani il "Premio Gian Luigi Bonelli". Ricordo l'emozione di stringere la mano a un uomo che ammiravo infinitamente e che dall'ombra del suo studio ha arricchito gran parte della mia vita con le sue opere e i suoi eroi indimenticabili. Ringraziandolo di cuore ho riconosciuto subito, nella mitezza e nell'intelligenza del suo sguardo, una grande personalità, di quelle che forse non esistono più. Aveva il sorriso dolce, ma anche la fermezza di Giorgio Caproni o di Alfonso Gatto. Lo vedevo come un poeta, un inventore e confezionatore di storie che accendevano la fantasia dei suoi giovani lettori facendoli viaggiare in un mondo pieno di insidie, insieme comico e drammatico, disseminato di gag, dove si alternavano climax e anticlimax con straordinaria sapienza.

Avendo lavorato non poco, oltre che da editore, da sceneggiatore, sapeva perfettamente impiantare drammaturgie specifiche del fumetto, facendo attenzione allo sviluppo delle vicende e alla suspense della singola pagina. Il racconto a fumetti è una somma di immagini istantanee che evocano movimenti e azioni. Così come a lampi è descritto lo stato d'animo dei protagonisti, sorpresi sempre al culmine dei loro pensieri. Tutto ciò che non si vede ma si indovina è la materia fondante di un linguaggio che mette insieme grafica, cinema e letteratura. La casa editrice Bonelli ha creato miti carismatici e indimenticabili come Tex, Dylan Dog, Zagor, Mister No, Nick Raider, Nathan Never e il detective dell'impossibile, il docteur Martin Mystère, con una cura particolare e puntigliosa delle convenzioni linguistiche del fumetto. Il rispetto delle regole basilari hanno permesso alla Bonelli Editore di piazzarsi pre-potentemente al centro del mercato.

Oggi vende circa 25 milioni di copie l'anno malgrado il restringimento dei consumi dovuto alla concorrenza dei videogiochi e del piccolo scher-mo. In tutta la sua produzione non c'è una sola immagine "ipocrita". Pur orientato verso l'arte popolare, mai manca l'ironia anche nelle situazioni più "sentimentali". Il rispetto per il lettore è totale. La scomparsa di Sergio Bonelli apre un vuoto incolmabile nella cultura italiana. Nessuno come lui ha così profondamente intercettato i sogni di gloria dei ragazzi italiani. Li ha fatti sognare e viaggiare offrendo loro paesaggi e panorami fantastici. Io me ne sono nutrito a lungo e non ho mai fatto gerarchie tra i suoi fumetti e quelli cosiddetti d'autore. Spesso si trova più ésprit de finesse in un racconto di Tiziano Sclavi, il geniale inventore di Dylan Dog, che nel di-segnatore impegnato e transfuga.

Per tutte queste ragioni, stringendogli la mano, mi sono emozionato come poche volte mi capita. In questi anni ci siamo sentiti per telefono, seguiva passo passo il mio lavoro di raccontatore di storie e io manifestavo tutta la mia ammirazione per una vita silenziosa e imponente, per l'occulto direttore d'orchestra della mia immaginazione, che mi costringeva di tanto in tanto a tornare bambino. L'ultima volta che l'ho incontrato è quando gli ho chiesto di darmi una mano a trovare qualche tavola d'artista da mettere in vendita a Spoleto (dove sono assessore alla Cultura) per aiutare a ricostruire a L'Aquila una fontana medievale distrutta dal terremoto. Presto mi ha inviato tre opere bellissime di Gallieno Ferri, il creatore di Zagor. La notizia della sua scomparsa, così improvvisa, ha colpito amici, lettori, autori e disegnatori. Oggi per l'arte del fumetto finisce un'epoca. Ora è tutta sulle spalle dei suoi allievi, dei giovani collaboratori e artisti che grazie a lui hanno imparato il più «fantastico» dei mestieri.

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