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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2011 alle ore 08:14.

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La casa di King Yin Lei, in cima a Stubb road, è feng shui al cento per cento. Shum Yat, il mercante di te che l'aveva fatta costruire per la famiglia nel 1937, in stile rinascimentale cinese, l'aveva voluta con la montagna alle spalle e l'acqua di fronte. Come prescrive l'antica geomanzia taoista. Allora la vista sulla baia di Hong Kong doveva essere spettacolare. Ora non più: s'intravede fra alcuni grattacieli e alle spalle ciò che colpisce non è il Peak, la cima dell'isola, ma un'altra torre condominiale così alta che nella stagione dei tifoni ondeggia.
King Yin Lei con i suoi muri rosa e le tegole verdi venute dal Fujjan, era una casa fortunata. «Hei lo», è così che l'aveva chiamata Shum Li Po-lun, la moglie del mercante. Ci fu la guerra, l'occupazione giapponese, gli inglesi tornarono, la colonia incominciò a prosperare, milioni di profughi della Cina comunista vennero, attraversando la Cortina di bambù e diventando la forza lavoro dell'industrializzazione della colonia. Nel 1970 la terza generazione degli Shum diventati ormai tycoons – molto più che mercanti: magnati, industriali, finanzieri, modificando il loro status con il mutare del profilo economico di Hong Kong – la vendettero agli Yow. E gli Yow, diventati anche loro tycoons, nel 2007 la cedettero a un costruttore. Non era interessato alla casa ma al terreno dal valore inestimabile per il mercato immobiliare. Un'altra altissima torre sarebbe presto salita verso il cielo a sfidare i tifoni e fare milioni. Ma a dispetto delle apparenze King Yin Lei continuava a essere «hei lo», una casa fortunata. Nel 2008, sollecitato dall'indignazione popolare, il governo obbligò il costruttore a cedergliela in cambio di un'altra proprietà da sviluppare. La casa, dichiarata «monumento protetto», fu restaurata con altre tegole verdi del Fujjan e aperta al pubblico la scorsa primavera. In pochi mesi l'hanno visitata in decine di migliaia. Anche perché nel 1973 King Yin Lei era stata la location di I tre dell'operazione Drago, il capolavoro di Bruce Lee.
Sembra una favola nel luogo sbagliato, il posto abituato a cancellare il suo passato ma che si è già inventato tre o quattro volte il futuro. Invece il miracolo di King Yin Lei, quello che ha identificato altre 1.400 fra case, moli, luoghi da preservare, 98 dei quali già dichiarati monumenti, è accaduto a Hong Kong. «È dal 2007 che abbiamo una nuova politica sistematica di protezione dei luoghi della nostra storia», spiega Laura Aron, la sovrintendente al Patrimonio che fa capo direttamente al chief executive, il capo del governo. «Non abbiamo una storia di migliaia di anni come la Cina. Ma una storia l'abbiamo anche noi».
Quello che è accaduto è che l'ex colonia si è liberata definitivamente della sindrome del «luogo preso in prestito in un tempo preso in prestito», come l'aveva definita nel 1976 Richard Hughes, in un libro famoso. Ora per i suoi 7 milioni di abitanti Hong Kong non è più un luogo, un "trading post", ma una patria. Per decenni avevano vissuto sapendo che nel 1997 l'isola e i suoi territori sulla costa sarebbero tornati alla Cina Popolare con un'autonomia limitata definita dalla formula "One country two systems". Poi è accaduto e lentamente la gente ha scoperto che non è cambiato quasi niente. Hong Kong è ancora il luogo del libero mercato e politicamente sempre più democratico: lentamente, con le difficoltà imposte dal controllo di Pechino, ma i diritti civili avanzano. È già stato stabilito che nel 2047 finirà il modello di una nazione e due sistemi. Ma da come vanno le cose, a metà del secolo sarà più la Cina continentale ad assomigliare a Hong Kong che viceversa.
Negli anni Cinquanta la colonia era diventata una gigantesca fabbrica. Poi, con le aperture del denghismo, Hong Kong annusò l'affare e trasferì tutta la sua industria nella Cina Popolare: milioni di operai a basso costo. Il nuovo mantra ora è la tecnologia e soprattutto la convertibilità del Renmimbi. Legalmente non è ancora accaduto ma a Hong Kong si fa già tutto con la valuta cinese. Quando, forse nel 2020, la piena convertibilità sarà approvata e il Renmimbi sostituirà il dollaro locale, non se ne accorgerà nessuno. Perché quando accadrà, sarà già accaduto.
La prima battaglia di questa genialità economica trasformatasi in senso d'appartenenza, è stata combattuta per il Queen's Pier, il molo a Central dal quale partono i ferries per Tsim Sha Tsui. "The cheapest trill in town": con 2 dollari locali si attraversa la baia e si ammira il panorama dei grattacieli. Nel 2007 il molo doveva essere distrutto per drenare la baia e conquistare nuova terra edificabile. Migliaia di cittadini lo hanno occupato fino a quando il governo ha fermato il progetto. Da lì il movimento non si è più fermato. È stata salvata la drogheria di Wing Woo, la vecchia stazione di polizia di Central, la casa della famiglia Ho, diventata il museo di Sun Yat-sen, l'edificio Lui Seng Chun trasformato nel Centro di medicina cinese. «Non so se è l'inizio di un movimento politico», dice Chu Hoi-dick, uno degli organizzatori del salvataggio del Queen's Pier. «È un movimento per affermare l'identità della gente di Hong Kong che non è più controllata dagli inglesi e nemmeno dai cinesi».
Le due vecchie case popolari di Hollywood road, un tempo per i poliziotti con famiglia, non sembrano avere qualità. Non qui, dove qualcuno vorrebbe già abbattere il grattacielo della Hong Kong Shanghai Bank, un capolavoro di Norman Foster. È stato inaugurato nel 1986 ma non è abbastanza alto, sostiene chi fiuta un affare. Sarebbe un affare anche abbattere queste case popolari in Hollywood road, la via più di moda di Hong Kong. «Ma anche questi edifici sono parte della nostra storia. Sotto ci sono anche i resti della prima scuola pubblica per cinesi, dove hanno studiato tutti quelli che sarebbero diventati tycoons», spiega con passione Laura Aron. «Li restaureremo e ne faremo un grande centro di arte e architettura». Ma nel simbolo del laissez-faire, nella Hong Kong delle grandi lobbies economiche, anche Laura sente il bisogno di precisare che «quando individuiamo un edificio, non obblighiamo i proprietari a cedere. Proponiamo scambi e compensazioni come col costruttore che possedeva King Yin Lei. Solo quattro volte, di fronte alla minaccia di distruzione, siamo intervenuti con forza». Anche qui a Hollywood road c'è stata una grande mobilitazione. Le vecchie case della polizia sono circondate da condomini-grattacieli e tutti gli abitanti hanno firmato petizioni e fatto sit-in, dimostrando un grande legame con le radici. «Forse», conclude perplessa Laura Aron. «Credo abbiano giocato la carta dell'eredità per non avere davanti un altro condominio da 30 piani. Ma va bene anche così. Sappiamo di avere una lunga battaglia davanti a noi».