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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2011 alle ore 16:32.

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Presentazione del film "Una separazione". Nella foto il regista iraniano Asghar Farhadi e l'attore Babak Karimi (LaPresse)Presentazione del film "Una separazione". Nella foto il regista iraniano Asghar Farhadi e l'attore Babak Karimi (LaPresse)

Il suo ultimo film, Una separazione, ha vinto l'Orso d'oro al festival di Berlino 2011 e ha riscosso un successo enorme sia in Iran che in Francia, dove è stato visto da oltre un milione di spettatori. Il regista iraniano Asghar Farhadi, già vincitore dell'Orso d'argento nel 2009 con About Elly, ha presentato a Roma Una separazione che uscirà in Italia la settimana prossima in una quarantina di copie.

Attraverso la storia della crisi di una coppia di coniugi Farhadi racconta una società le cui regole sociali, politiche, giudiziarie e religiose cambiano continuamente, e i cui membri si barcamenano fra verità e menzogne per garantirsi la sopravvivenza.

E' stato un modo per aggirare la censura, quello di parlare di una crisi di coppia invece che della situazione politica attuale?Sono nato e cresciuto in Iran e, da cineasta, so come aggirare la censura: se un regista come Steven Spielberg cercasse di realizzare un film nel mio Paese lo bloccherebbero alla seconda inquadratura! Girare in Iran è un po' come fare uno slalom all'interno del sistema. Ciò nonostante i registi iraniani riescono ad essere abbastanza diretti nel loro modo di rappresentare la realtà, senza parlare troppo per metafore. Abbiamo anche imparato molto dal vostro Neorealismo, che raccontava un periodo simile a quello attuale in Iran per condizioni economiche e sociali andando dritti al sodo.

In che cosa il cinema iraniano si differenzia dalle cinematografie occidentali?
Nella fiducia che nutre verso gli spettatori. Molto cinema, soprattutto americano, crede che allo spettatore vada spiegato tutto per filo e per segno. Io credo invece che il pubblico meriti maggior rispetto e che gli si debba lasciare il tempo di capire da solo quel che sta succedendo sul grande schermo. Il mio cinema è come una partita di scacchi in cui uno dei due scacchisti è lo spettatore.

Una separazione rappresenterà l'Iran nella corsa agli Oscar per il miglior film straniero. Come mai il governo di Teheran non l'ha impedito, visto che il film è fortemente critico?
Il sistema iraniano è diviso in due: una parte, più intellettualmente aperta, ha adorato il mio film, l'altra si è detta fortemente contraria alla sua diffusione. Ma poiché Una separazione ha avuto un enorme successo di pubblico e ha trovato anche una distribuzione statunitense lo Stato non ha potuto fare a meno di sostenerlo. Inoltre in passato era una persona sola a decidere quale film mandare agli Oscar, mentre da quest'anno esiste una commissione di nove membri, fra cui molti esperti di cinema.

Come mai la censura è così severa con alcuni cineasti – pensiamo a Jafar Panahi o ai sei documentaristi recentemente arrestati – e più permissiva con altri?
Perché il sistema che governa l'Iran non è così uniforme come lo si immagina dal di fuori: vi sono forti contraddizioni interne e mi capita di veder uscire film che non avrei mai creduto potessero vedere la luce mentre magari il giorno dopo vengo a sapere di nuovi arresti di miei colleghi. Non c'è una logica omogenea, ed è proprio quello che ho cercato di mostrare nel mio film.

Che cosa pensa delle 90 frustate inflitte all'attrice Marzieh Vafamehr, interprete del film Tehran for sale?
Innanzitutto la parola frustata dovrebbe essere cancellata dal vocabolario: nemmeno il peggior criminale non può essere raddrizzato a suon di frusta. Poi ricordo a tutti che Tehran for sale era il saggio di diploma di una studentessa di cinema in Australia, e che mai gli attori o la regista si sarebbero aspettati che fosse visto in tutto il mondo. Se l'avessero saputo, forse avrebbero usato maggiore cautela.

Tutto il parlare che si fa dei problemi dei cineasti iraniani aiuta la vostra causa o vi fa danno?
Da un lato inasprisce il conflitto con le autorità, che si irritano e reagiscono in maniera eccessiva nei confronti dei singoli. Dall'altro stare zitti è impossibile. Credo che il comportamento migliore, per un regista iraniano, sia quello di girare i film che i cineasti arrestati non possono più realizzare. Quanto ai miei colleghi in difficoltà, ho constatato che si può togliere loro il mestiere ma non la loro dignità di artisti, e questa è una grande lezione.

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