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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2011 alle ore 12:25.

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Harrison Ford e Daniel Craig in Cowboys & AliensHarrison Ford e Daniel Craig in Cowboys & Aliens

This must be the place. Degli Arcade Fire? No, dei Talking Heads. Forse un dialogo, una scena così tenera come quella girata con Sean Penn e un bambino sovrappeso che ama la musica, Paolo Sorrentino non ce l'aveva neanche mai proposta. Ed è forse questo il segreto che ci disoriente e ci fa piacere la sua prima pellicola americana, un on the road sfuggente e molto wendersiano. La storia è quella di Sean Penn- che rimase folgorato in giuria a Cannes da Il Divo- che interpreta una rockstar invecchiata male con rossetto e capelli lunghi, condannata da un successo che ha annichilito la sua vita e quella di due suoi fans.

Ha una moglie pompiera e sorridente (Frances McDormand) e rimane orfano di un padre a cui non parla da 30 anni. Decide, però, di "riscoprirlo" e in una sorta di Into the Wild sorrentiniano va alla ricerca del carnefice del genitore ai tempi dell'Olocausto. C'è l'ossessione per il brutto e il pacchiano del regista napoletano come la sua eleganza dei dialoghi, c'è la voglia di scoprire i dettagli e di costruire personaggi eccessivi e quasi beckettiani. Ne esce fuori un film piacevole, non un capolavoro ma una sorta di presentazione oltreoceano di un regista che saprà stupire anche sull'altra riva dell'Atlantico. Hanno provato a lasciarci a bocca aperta anche i Cowboy & Alieni di Jon Favreau. In questo caso, però, missione fallita: pur avvalendosi di Harrison Ford, Daniel Craig e la splendida Olivia Wilde, finiamo schiacchiati da due ore ridondanti. Un paio di scene azzeccate e quelle facce granitiche e piene di carisma non riescono a salvare il salvabile, così come non lo fa il politicamente corretto stucchevole del finale. Il regista di Iron Man non ripete il miracolo di un pop corn movie che conquista i cuori anche dei più esigenti. Va anche detto che per le mani aveva un graphic novel moderno e non uno dei capolavori Marvel. Un masterpiece, anche se letterario, ce l'aveva per le mani Paul W.S. Anderson (solo un omonimo: non è né Il P.T. di Magnolia, Il petroliere e Boogie Nights né il Wes de I Tenenbaum o Il treno per il Darjeeling: solo il regista di Mortal Kombat e Resident Evil).

E pazienza se I tre moschettieri di Dumas nelle sue mani diventano un fumettone 3D che ha poco a che fare con i più classici rifacimenti cinematografici di quel romanzo. Il film, infatti, somiglia molto di più al Disney trash degli anni '90, passato alla storia (si fa per dire) per l'hit superpop All for Love. Qui troviamo di tutto: una conturbante Milady con le fattezze di Milla Jovovich, una Costanza decorativa come Gabriella Wilde, un impagabile Richelieu con la faccia di Christoph Waltz. E una sceneggiatura che mette dentro anche un dirigibile e combattimenti alla Zack Snyder. Avrebbe tutto per essere un film da stroncare, ma i suoi eccessi, alla fine, fanno simpatia: un trash che non si prende mai sul serio e che tiene comunque attaccati alla poltrona. Anche se rimane un delitto far dire così poche volte a quei quattro, che qui sembrano quasi una boy band, la mitica frase "Tutti per uno, uno per tutti".

Gustoso, pur non essendo anch'esso un lungometraggio che rimarrà negli annali, Amici di letto. A dispetto del titolo, nessuna volgarità: al plot trito e ritrito della coppia di sodali che diventano amanti per manifesta inferiorità dei loro spasimanti, qui si aggiunge una scrittura briosa e dialoghi brillanti e la chimica davvero speciale tra Mila Kunis e Justin Timberlake. Il regista Will Gluck, aiutato anche da buoni comprimari- su tutti Jenkins e Harrelson- deve solo tenere la barra dritta e non uscire dai binari sicuri del genere della commedia sentimentale sulle amicizie d'amore. Una sorta di diligente pilota automatico. L'ideale per un sabato sera senza troppi pensieri e qualche sorriso.

Da evitare, purtroppo, I want to be a soldier. Una tematica importante come il bullismo, infatti, viene trattata dal giovane Christian Molina con un'opera artisticamente molto mediocre e fastidiosamente demagogica. Nel cast, come coproduttrice e attrice, anche Valeria Marini: una sorta di nemesi della ciliegina sulla torta. Adorabile, infine, Arrietty: una famiglia di nani "rubacchiotti" fa amicizia con un umano. Diversi che si trovano simili, la "solita" storia. Ma Hiromasa Yonebayashi la racconta con fantasia, grazia e delicatezza. Basta e avanza.

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