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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2011 alle ore 19:46.

Attribuendo la terracotta a Leonardo in persona, Villata si scontra con l'autorità di Pope-Hennessy e di alcuni insigni studiosi, quale Olga Raggio, per non dire dei viventi. Ma quali sono le ragioni che legittimano l'ipotesi attributiva di Edoardo Villata? Innanzitutto la qualità del San Girolamo, che è elevatissima, come vediamo nell'energia di sintesi plastica racchiusa nella «organicità della posa» del vecchio dottore della Chiesa che nella destra regge il libro e con la sinistra si accarezza la barba. Si coglie sul volto del santo filosofo un sorriso appena accennato che denota il compiaciuto raggiungimento della conoscenza delle verità eterne e che affiora nell'intensità della concentrazione e dell'espressione. Ma per vibrare il nome di Leonardo quel che più conta sono i molteplici riferimenti al suo stile. Forse il più sorprendente è la mano destra di San Girolamo, affusolata e un po' irrigidita, che richiama subito quella della Dama dell'ermellino, la cui mano, secondo una recente ipotesi, non venne ritratta dal vivo bensì da un modello plastico. Poi entrano in gioco, more solito, i panneggi leonardeschi, molto vicini a quelli del mantello indossato da San Girolamo. Da ultimo Villata rimarca giustamente che nella terracotta di Londra non vi è il benché minimo cenno di influenze michelangiolesche, che in un qualunque scultore attivo a Firenze dopo il 1.500 sarebbero immancabili.
Questa attribuzione, audace ma non peregrina, scatenerà discussioni e dissensi ma anche consensi, e il fatto che venga pubblicata in grande evidenza sul prossimo numero della «Raccolta Vinciana» (XXXIV fascicolo, 2011, in corso di stampa), prestigioso periodico biennale dedicato ai più approfonditi studi leonardeschi, è un fatto di indubbio conforto.
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