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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2011 alle ore 08:15.

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«Anima incostante e graziosa, / ospite e compagna del corpo, / dove te ne andrai ora?». Questi versi lasciò l'imperatore Adriano sul letto di morte. L'anima non se ne andrà da nessuna parte. Resterà nel mondo in cui abbiamo vissuto, sottoforma di documenti, tracce scritte. Questa è la risposta da dare, soprattutto dopo aver letto il saggio di Maurizio Ferraris, Anima e iPad. E se l'automa fosse lo specchio dell'anima?, un'opera illuminante nell'impianto teorico e nell'immancabile umorismo ferrarisiano, capace di alleggerire persino temi come la morte. Se Adriano avesse avuto un iPad, avrebbe sicuramente messo online i suoi versi, per condividerli con gli amici sparsi per l'impero. L'iPad non è un'estensione della mente in senso letterale – come vuole Andy Clark –, ma è di certo una protesi ormai necessaria per stare sempre connessi, per accrescere la nostra memoria e il nostro pensiero.
A dispetto di tante profezie, la scrittura, forma antichissima di tecnologia, non è scomparsa dalla faccia del mondo, ma si è diffusa sempre più, al punto che anche i telefonini si sono ingranditi per includere apparati di digitazione elettronica. L'iPad, moderna tabula, se da spento riflette significativamente il nostro viso come uno specchio, da acceso rivela tante cose sull'anima. Ad esempio che la memoria è l'essenza dell'anima. E che non esiste anima senza corpo, così come non esiste scrittura senza supporto. La memoria, infatti, spesso oggetto di equivoci teorici, non è una funzione passiva, di mera raccolta di informazioni. Al contrario, essa è causa del pensiero e della creatività ed essendo dotata di plasticità si evolve costantemente con l'esperienza. È una tabula interna a noi, su cui è inscritto ciò che abbiamo imparato per diventare noi, ed è inseparabile da un'altra tabula esterna, cioè l'insieme delle trascrizioni – oggi disponibili via iPad – che costituiscono il nostro ambiente sociale.
Nella memoria, interna ed esterna, è iscritta la nostra vita. Lo dimostra il fatto che, chi si ammala di Alzheimer, pur sopravvivendo, perde l'identità e la coscienza. Ed è sempre la memoria, la memoria del corpo, che ci possiede al punto da farci agire automaticamente: come quando ci troviamo davanti allo sportello del bancomat e non ricordiamo il codice Pin, ma le nostre dita sì. Dal momento che la vita è fatta di registrazioni e reiterazioni continue, perché non dovrebbe essere ragionevole pretendere che anche nell'essere umano ci sia l'automa? La riflessione sul ruolo sociale della registrazione porta Ferraris a una ripresa radicale della sua categoria ontologica di documentalità. La documentalità è la regola (oggetto sociale = atto iscritto) per la costruzione degli oggetti sociali. Un oggetto sociale deve essere prima registrato nella testa di coloro che lo producono, e poi, affinché esista, deve essere inscritto in un testo esterno.
Prendiamo ad esempio i matrimoni. Due persone che pensano di sposarsi, ma che non firmano documenti, non registrano l'evento con film e foto e non hanno testimoni, non sono marito e moglie. Ma una donna – è un caso realmente accaduto – può sposare il suo partner morto già da un anno se i documenti sono in regola. Sono ferree le obiezioni di Ferraris alla teoria della «intenzionalità collettiva» di John Searle, secondo cui la realtà sociale sarebbe frutto di un accordo tra intenzioni mentali dei singoli individui. Pensare a una realtà sociale del genere è a dir poco ingenuo. Le cose sono molto più complicate. Le società si fondano su documenti scritti e i contenuti di tali iscrizioni non li determiniamo noi, ma ci preesistono. Sin dalla nascita ci confrontiamo con regole scritte (la lingua, l'educazione, le leggi) e registrazioni (la registrazione e il controllo di tutti i nostri dati), che assumiamo interiormente e da cui traiamo la nostra identità. La conclusione è che lo spirito delle società risiede, anzi vive, nelle sue iscrizioni: non se ne sta separato, come molti filosofi ancora pensano, aleggiando nell'etere.
Dai tempi di Platone la filosofia fatica ad ammettere l'indimostrabilità della separazione dello spirito dalla lettera, dell'anima dal corpo. L'intenzione dell'autore di Ontologia del telefonino non vuole essere quella di tessere un elogio sperticato della tecnologia. Ma di mostrare, attraverso l'iPad, che il pensiero è nella scrittura. Anzi, è la scrittura stessa a generare il pensiero. L'humanitas di questo saggio è nel suo coraggioso materialismo, contrario alla sempre più diffusa cultura dualistica. L'anima è nel corpo, nelle iscrizioni che abbiamo incorporato nel corso della vita. E quando la vita termina, dell'anima non rimane altro che la traccia nel nostro taccuino, o nell'iPad. Per questo Tony Curtis si è fatto seppellire con il suo iPhone, vale a dire con l'intero archivio della sua vita. Il mezzo scelto, però, rischia di diventare obsoleto e illeggibile, perciò sarebbe stato meglio sotterrare documenti e foto in un volume cartaceo. Nel giorno del Giudizio, se la promessa di reincarnazione non dovesse realizzarsi, chi porterà con sé l'iPad nella tomba, potrà sempre proclamare, a patto che l'apparecchio funzioni: «Questo è il mio Corpus!».
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Maurizio Ferraris, Anima e iPad. E se l'automa fosse lo specchio dell'anima?, Guanda, Parma, pagg. 186, € 16,50

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