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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2011 alle ore 08:15.

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«Nel medicare d'i corpi, molto vale la experientia», così come nel «governare i stati», quindi per il principe è importante essere circondato da «savi e prudenti e homeni bem experti». Poche parole che introducono al mondo delle corti e della medicina nel XV secolo. Sono scritte da Michele Savonarola (1385-1468), nonno del più noto fra' Gerolamo, nato a Padova ma poi nel 1440 medico di corte di Niccolò III d'Este a Ferrara. La figura di Michele, ricordata anche da una statua nel Prato della Valle di Padova, è fondamentale per comprendere l'intreccio di cultura, scienza e politica che era la vita di corte nel tardo medioevo, o primo rinascimento, o inizio dell'età moderna, non ci si perda in sterili definizioni.
Storicamente abbiamo dati chiarissimi: la "morte nera", la peste, ha mietuto stragi in tutta Europa ed è una minaccia sempre presente. Accanto alla medicina empirica (Michele sarà un importante paladino della experientia, come si diceva), permane e si rafforza la ricerca di cause occulte delle malattie e insieme del farmaco unico polivalente, la panacea che nessuna scienza è stata in grado di trovare.
I medici sono anche umanisti e discutono dell'importanza della medicina practica ma anche della necessità di un "metodo". Si ritrovano in università, in cenacoli privati, nelle corti dei signori ma anche tramite la parola scritta, in opere che contengono proposte e discussioni e che superano le barriere istituzionali (come se oggi un primario inviasse una sua intuizione a un filosofo, a un notaio e a un farmacista per averne il parere). Un medico come Michele Savonarola discute con competenza anche di astrologia, magia, fisiognomica, alchimia, e poi etica e politica, storia e pedagogia. Non si occupa solo delle gravidanze e dei raffreddori di principi e principesse, ma scrive trattati di dietetica, pediatria e geriatria. Si occupa dei sogni (come Aristotele, quindi nessuno stupore), di cucina, di ginecologia ed eugenetica. Scrive anche un trattato De balneis thermis naturalibus (dopo aver studiato le acque delle Terme di Abano), sull'importanza delle cure termali: oggi avrebbe ottenuto successi e guadagni prescrivendo acque solforose a donne annoiate e ipocondriache, ma ricche.
A corte il medico non è dunque solo un dottorino. È consapevolmente quello che fu Aristotele per Alessandro Magno, un maestro di vita, un pedagogo, un consigliere dotato di scienza e intelligenza, per necessità anche diplomatico (forse non dovevano darsi scambi tra i medici delle diverse corti?). Michele non compone trattati teorici, scrive una libro «sulla pratica delle malattie dalla testa ai piedi» che poi Machiavelli farà citare dal falso medico Callimaco ne La mandragola, e compone opuscoli adatti più al paziente che al collega, dove è sempre l'esperienza criterio di verità. I suoi libri sono spesso descrizioni di regimina, di stili di vita – e di dieta – adeguati al malato, che al malato chiedono un impegno personale della volontà. Allora non si fumava ancora (mancavano pochi anni all'impresa di Colombo), ma si mangiava e beveva e così via, quindi Michele Savonarola, raccontato in maniera scientificamente ineccepibile nel volume a cura di Crisciani e Zuccolin, aveva da scrivere nel suo Libreto sulle diete. Che poi si dica che fu l'inventore della grappa, con un De arte confectionis acquae vitae, è un problema suo.
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Michele Savonarola, Medicina e cultura di corte, a cura di C. Crisciani e G. Zuccolin, Micrologus' Library 37,
Sismel - Edizioni del Galluzzo, Firenze, pagg. 300, € 48,00

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