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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2011 alle ore 16:59.

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Universalizzare un vago civismo sotto la denominazione di "cultura diffusa" e "ripensare l'umanesimo" paiono obiettivi difficili da raggiungere, e comunque carenti di senso, se il punto di partenza per realizzarli è la denigrazione pregiudiziale dei soli studenti delle facoltà umanistiche, anche se tale approccio risulta comprensibile alla luce della preminenza concettuale dell'utilitas mercantilistica nell'ultimo ventennio.

Premesso che il libero pensiero è una forma mentis umanistica piuttosto che ragionieristica o ingegneristica (come del resto il pensiero matematico è di più ampie vedute della mera aritmetica), è necessario ricordare primariamente che ogni singola disciplina conosciuta è stata in origine, in qualche modo, ancilla philosophiae. In secondo luogo, tornando alla situazione italiana, il decadimento della vita politica-civica-sociale del Paese deriva proprio dall'aver il Potere (i poteri) volutamente snobbato e boicottato sia la "cultura diffusa" sia la cultura tout court, ovvero quella specialistica, preferendo a un popolo mediamente colto un popolo ignorante e, di conseguenza, maggiormente plasmabile con gli input diffusi ad arte dai mezzi di comunicazione verticale, quali la televisione e la stampa "amica".

Per concludere mi limito a un breve cenno biografico. Con una laurea con lode in filosofia (v.o.) e l'estratto della tesi pubblicato e tutt'ora citato, svolgo la professione di agente immobiliare da quasi un decennio, continuando a pubblicare articoli (filosofia, archeologia, storia delle religioni, finanza islamica) fuori dal circuito accademico.

Perché questo cambio di rotta professionale? Illo tempore, all'esternazione del mio desiderio di provare ad accedere a un dottorato di ricerca nella stessa facoltà dei miei studi, il relatore della mia tesi, pur conscio del mio valore e del valore di quanto da me scritto, ebbe a sconsigliarmi persino di partecipare all'esame di ammissione, dicendomi che sarebbe stato ammesso al dottorato qualcun altro, concludendo che non era sufficientemente barone per opporsi a tale fatto già deciso.

Spero che adesso sia più chiaro il motivo per il quale contesto il cuore del Suo articolo: la mediocrità italiana ha cause ben più consistenti dell'iscrizione in massa alla facoltà di lettere o delle "legioni di laureati in filosofia", anche se sono condivisibili nel suo articolo altri giudizi, non ultima la condanna della refrattarietà di coloro che "non vogliono avere nessuna esperienza del mondo che sta al di fuori delle aule scolastiche".

Io nella mia vita ho sempre combattuto, nella quotidianità del lavoro e contro tanti muri di gomma (accademici, editoriali, etc), ma non ho mai smesso di credere nelle cose in cui credo, e di amarle con invariato amore.

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