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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2011 alle ore 19:28.

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MILANO - Trasferite, spostate o da spostare. Magari chiedendo il parere ai milanesi con un sondaggio. Opere d'arte che a Milano sembrano non trovar pace, come il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo o L.O.V.E. di Maurizio Cattelan, fino al monumento a Pertini di Aldo Rossi, passando per i Bagni misteriosi di de Chirico, il Cavallo di Leonardo e il coloratissimo Ago, Filo e Nodo di Oldenbourg. Già, anche il monumento che da 11 anni conferisce una nuova identità estetica a piazza Cadorna, ha scatenato polemiche per la sua collocazione. E l'elenco dei lavori potrebbe continuare.

Il caso Cattelan però è emblematico. Mentre l'artista è in pole position per ricevere l'Ambrogino d'oro, i milanesi ancora discutono di quell'enorme dito medio che dal 24 settembre 2010 svetta contro il cielo davanti alla Borsa. Ma si tratta, forse, solo della punta di un iceberg: non è che in questa città l'arte sia diventata una presenza scomoda e un po' ingombrante?
«Milano, a differenza di Torino, ha con l'arte un rapporto non sereno», osserva Vittorio Sgarbi, uno che non parla per sentito dire visto che come ex assessore fu bocciato dalla Moratti per la sua mostra sull'omosessualità.
Non solo. Questa, secondo il critico, è anche una città «moralista» e dalla politica troppo invadente. «Guardi il monumento a Pertini in via Croce Rossa: mettere lì quell'opera di Aldo Rossi è stato un intervento arbitrario della politica. È stata la politica a scegliere, anche se in quel caso sarebbe stato meglio astenersi». «Non so cosa faccia ora il comune – dice ancora Sgarbi – ma allora il sindaco entrava a gamba tesa contro tutte le mie iniziative».

E comunque bisogna distinguere: «una cosa è una mostra temporanea che è assurdo censurare, o sottoporre al veto del consiglio comunale, e un'altra cosa è una scultura urbana che va a occupare uno spazio pubblico, interagendo con il gusto delle persone». Solo in quest'ultimo caso «è giusto chiedere ai cittadini di dire la loro. Occorre insomma una valutazione di opportunità: la teniamo o no quest'opera? Meglio decidere insieme». E che dire della provocazione di Cattelan? da un lato «ci sono stati interventi stupidi di una parte politica legata alla destra che vedeva nel dito un'offesa...» e dall'altro un atteggiamento censorio che in questa città è assai diffuso: «Perché quando ho esposto a Stupinigi i "bambolotti" di Cattelan nessuno ha detto nulla? Invece a Milano c'è un moralismo diffuso, come dimostrano le polemiche attuali». Una città bacchettona, dunque?
Non proprio, ma quasi, secondo un altro ex assessore, Massimiliano Finazzer Flory, che è stato anche il successore di Sgarbi. «A Milano c'è un moralismo orientato in modo opportunistico perché questa città è governata dal commercio e dall'economia: così, ogni centimetro quadrato deve avere un rendimento economico: ogni spazio è affitto o rendita immobiliare». «Anche per questo l'arte è scomoda, e del resto lo è sempre stata perché mette in discussione il conformismo» continua Finazzer che in città ha fatto arrivare il "dito medio". «Sì, ho chiamato io Cattelan e insieme abbiamo discusso la collocazione e le dimensioni del lavoro. Letizia fin dall'inizio era completamente d'accordo. Invece metà della giunta comunale era contraria. Oggi scopriamo che quella scultura, proprio in virtù delle polemiche, ha attirato tanti visitatori in piazza Mezzanotte. E poi ha preconizzato il movimento degli indignados e la reazione della società civile contro le banche».

Non la pensa così l'editore e collezionista Gabriele Mazzotta. «Macché moralismo, l'unico caso di vera censura a Milano risale agli anni '50, quando venne sequestrato per oscenità il manifesto della mostra di Modigliani raffigurante il Nudo rosa». Quanto alle polemiche sull'artista padovano, «sono solo stupidaggini, gonfiate ad arte dai giornali perché fanno gossip». L'unico fatto reale, continua, è che oggi «mancano i soldi sia per l'arte che per la cultura». «Viviamo un momento complesso, confuso e tragico – conclude Mazzotta –. E pensare che Boeri ha appena lanciato Milano come capitale della cultura nel 2019. Un'ipotesi che, francamente, non mi sento di prendere in considerazione».

(Il Sole 24 Ore Lombardia - Inchiesta pagina 14-15)

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