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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2011 alle ore 15:47.

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Gentile professor Giunta, autore dell'articolo "Ripensare l'umanesimo. È giusto che legioni di studenti si iscrivano a Lettere?". Da laureata in Lettere mi sento chiamata in causa e rispondo, sperando che queste misere parole arrivino a destinazione. Ci sono un paio di affermazioni nel Suo articolo che ho trovato discutibili e per altro poco fondate.

La prima è questo continuo mito delle facoltà umanistiche come facoltà facili. Io non voglio giudicare facoltà che non conosco quindi mi limito a riferirmi alla mia cara facoltà di Lettere. Sotto quale aspetto secondo Lei gli esami di indoeuropeistica sarebbero più facili di quelli, che so io, di agraria? Cosa rende un esame più facile di un altro, il fatto che ci siano formule matematiche? Bene, Le posso assicurare che ho visto studenti di fisica sbiancare di fronte a certe derivazioni, roba da voler tornare di corsa ai ben più sicuri vasi comunicanti.

Certo, ci sono esami che a livello contenutistico sono facili, cioè per la cui preparazione è richiesto meno tempo. Ma questi immagino esistere nel piano di studi di qualsiasi facoltà. Inoltre la facilità del contenuto è proporzionale al grado di gradimento dell'argomento e ai diversi tipi di interesse. Se sono un patito di astrofisica è ovvio che mi risulta più facile determinare un'orbita che non cercare di capire che diavolo sta cercando di dirmi Kant in una delle sue critiche. Se nella mia vita non esiste altro che la semiologia chi se ne importa dei gas perfetti.

Se non possiamo fermarci solo al contenuto, vogliamo allora provare con le modalità d'esame? A Lettere di esami scritti ce ne sono pochi, ci si gioca tutto agli orali, con programmi che a volte superano le tremila pagine. Non ho mai sentito parlare nella mia facoltà di tesine di gruppo oppure di prove d'esame la cui unica pretesa è una presentazione power point. Non sono esempi inventati ma osservati tramite un famigliare iscritto alla facoltà di economia dell'università Cattolica di Milano. "A ingegneria praticamente tutti esami scritti e seri", potrei sentirmi replicare. Peccato che mi sia sempre imbestialita a sentire racconti gonfi d'orgoglio su ingegnosi metodi di copiaggio, passaggio bigliettini e mutuo aiuto durante gli scritti. Studenti che si vantano di aver barato per cinque anni, gli stessi che poi progettano ponti e infrastrutture. Vediamo quindi che non ci possiamo fermare neanche alle modalità d'esame, visto che l'orale uno a uno lascia poco spazio a trucchetti e scappatoie.

Il suo terzo oggetto: gli studenti. Perché non va a farsi qualche ricerca per verificare il grado di abbandono nelle facoltà umanistiche? L'abbandono c'è anche per queste facoltà "facili" e sono proprio quelli che la pensano come lei a mollare per primi, convinti che non ci siano ostacoli, tanto per superare un esame di letteratura non ci vuole niente.

Passando alle intelligenze pigre e poco originali pensiamo un po' ai lavori alla portata dei letterati che non intraprendono la via dell'insegnamento o non si fermano nel limbo del dottorato. Cosa diventano costoro? Ecco alcuni esempi: pubblicitari, editori, redattori, giornalisti (sì, proprio come Lei), scrittori, esperti di comunicazione, impiegati nel marketing. Lavori creativi insomma, proprio per intelligenze poco originali, vero?

Comunque facciamo come dice Lei, convinciamo i diplomati, più o meno maturati che siano, a non iscriversi alle facoltà umanistiche, facciamo in modo che queste chiudano, per sempre. Cosa succede poi? Avremo orde di laureati in economia, plotoni di ingegneri, schiere di architetti, folle di psicologi. E cosa ce ne facciamo di tutta questa gente quando ormai anche i mercati più sicuri sono saturi?

Il problema sta a monte, cioè prima ancora prima dell'iscrizione alle superiori. Non c'è un sistema di formazione pre ed extrauniversitaria paragonabile a quello tedesco, tanto per andare all'estero. Si esce dal classico e non si vuole andare in un ateneo? Facile dire "bisognava pensarci prima"! Non ci sono alternative in Italia, questa è la verità.

Ultimo punto: a cosa serve il sapere umanistico? A rendere le persone inutilmente più colte, visto che quello che si richiede oggi in vari ambiti, come quello politico giusto per citarne uno, è ben lontano dalla cultura – e con cultura non intendo il sapere da Settimana Enigmistica ma un pacchetto di idee e comportamenti che rendano le persone e il loro Paese civili, non un ammasso di teste lobotomizzate a suon di televisione.

Studiare lettere, in particolare, aiuta a fare qualcosa che si è perso da tempo ossia comprendere il testo. E non solo il testo dantesco o leopardiano. Anche il testo a prima vista più semplice ossia quello giornalistico. Ciò aiuterebbe buona parte della popolazione a non farsi manipolare dalle parole stampate sui giornali o su internet, parole poco fondate e avvalorate da alcun dato statistico e scientifico, proprio come le sue.

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