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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2011 alle ore 17:44.

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«Vado a Sud. Amundsen». Tre parole sibilline trasformano il tentativo di conquistare il luogo più ostile del pianeta in una gara tra due uomini. Chi riceve il telegramma, il 12 ottobre 1910, è il capitano della marina britannica Robert Falcon Scott. Si trova a Melbourne, ultima fermata nel mondo abitato prima di fare rotta verso l'Antartide a bordo della Terra Nova.

Un viaggio spinto ai confini della conoscenza del mondo e dell'essere umano. È infatti deciso a raggiungere l'ultima terra incognita, il polo Sud.
Chi lancia la sfida è un norvegese che in tre anni memorabili (1903-1906) ha vissuto con gli inuit, imparando come sopravvivere nel clima estremo, e per primo ha navigato nell'"inattraversabile" passaggio a Nord Ovest, tra l'Atlantico e il Pacifico. Fino a quel giorno tutto il mondo credeva fosse diretto a Nord, compreso il suo equipaggio. Amundsen aveva annunciato di volersi abbandonare alla deriva dei ghiacci e avvicinarsi così il più possibile al polo Nord, che sperava di conquistare a piedi, con cani e slitte. Mentre organizzava la spedizione, venne però raggiunto dalla notizia che il traguardo era stato espugnato. Amundsen inizia così a meditare segretamente di dirigersi a meridione. E quando è finalmente a bordo della Fram, all'insaputa di tutti, tranne suo fratello e il capitano della nave, inverte la rotta di 180°. Giunto a Madera scopre le sue carte: invia il telegramma a Scott e informa l'equipaggio: «per chi vuole scendere questa è l'ultima fermata». Nessuno sbarca.

«La meta era il polo, il resto aveva un'importanza molto relativa», annota successivamente. «Amundsen non è interessato ad arrivare per secondo. Scott invece vuole portare a termine una spedizione scientifica, non intende farne una gara» spiega Paolo Bernat, curatore del museo nazionale dell'Antartide e dell'edizione italiana di Race, una bella mostra in corso a Palazzo Ducale di Genova per celebrare i cento anni della tragica conquista (un'esposizione ideata dall'American museum of natural history di New York e in Italia prodotta da Codice e Palazzo Ducale, Costa edutainment, con il contributo del Cnr).

Amundsen arriva in Antartide il 14 gennaio 1911. Costruisce il suo campo base nella baia delle Balene: è circa 100 km più vicino al Polo rispetto a capo Evans, dove Scott è giunto 10 giorni prima. Entrambi sono già stati in quel continente. Amundsen è rimasto un anno su una nave intrappolata nei ghiacci, e Scott ha oltrepassato di due gradi l'80°parallelo, là dove allora i meridiani si fermavano e le mappe riportavano un ampio cerchio bianco. Era il 15 novembre 1902 quando, sotto un sole cristallino che non tramontava mai, annotò sul suo diario: «Ci troviamo già al di là dei limiti fino a questo momento raggiunti dall'uomo, ogni passo rappresenta una nuova avanzata nel grande ignoto». Il norvegese comincia a guadagnare vantaggio: durante l'inverno antartico i suoi uomini costruiscono depositi di viveri sulla strada del polo a 80, 81 e 82 gradi Sud. I britannici non arrivano a 80° Sud.

L'8 settembre falsa partenza per Amundsen: sente la primavera e si mette in cammino, ma è rimbalzato da un tempo tremendo. È di nuovo in pista il 19 ottobre con 5 uomini, 4 slitte e 52 cani. Scott lascia il campo l'1 novembre con 16 uomini, 12 slitte, due slitte motorizzate, 10 pony e 24 cani. Il 52° giorno i cani di Amundsen annusano l'aria: lui teme che i britannici siano già arrivati. Il 57° giorno è al Polo Sud: è il 14 dicembre 1911. Degli altri non c'è traccia. Vi arrivano solo 35 giorni dopo. «Il peggio, o quasi, è accaduto» scrive Scott; «giornata amarissima» annota Edward Wilson. Li hanno rallentati i pony, alcuni tragici errori, la sfortuna. E non hanno l'abbigliamento degli inuit né le loro conoscenze. I norvegesi sono al campo base il 25 gennaio, dopo 99 giorni di cammino e 3mila km percorsi. Per Scott la via del ritorno è più difficile del previsto. Il primo a morire è Evans, poi a metà marzo Lawrence Oates, semiassiderato, se ne va nella tormenta dicendo «Sto solo uscendo, e potrebbe volerci un po' di tempo». Un sacrificio inutile. Sei mesi dopo trovano la tenda con i corpi congelati di Scott, Wilson e Bowers. È a 11 miglia da un deposito di viveri. La croce che li ricorda ha inciso un verso di Tennyson: «To strive, to seek, to find and not to yield». Amundsen si inabisserà nel mare Artico 17 anni dopo, nel tentativo di ritrovare Umberto Nobile disperso tra i ghiacci con il dirigibile Italia. Ma questa è un'altra storia.
Race. Genova, Palazzo Ducale, fino al 18 marzo.

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