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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2011 alle ore 08:16.

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Ma è poi vero che ogni pubblicazione di intercettazioni è violazione della privacy, tanto più se riguarda personaggi pubblici o politici? E che la pubblicazione di atti processuali è sempre e comunque una violazione del segreto di indagine? Nel pieno del dibattito sulla necessità di dare una stretta a tali "reati" – o alla libertà di stampa, secondo altro punto di vista – vale la pena ripassare i fondamentali della nostra civiltà giuridica, magari aiutandosi con un testo scientifico, rigoroso e svolto senza mai far trasparire un pensiero politically correct. È lo sforzo compiuto da Ruben Razzante, docente all'Università Cattolica di Milano, che nel suo Manuale di diritto dell'informazione e della comunicazione traccia una linea di equilibrio possibile tra il rigore di uno stato di diritto – in cui i diritti fondamentali del cittadino sono, appunto, intangibili – e la libertà di circolazione del pensiero, caratteristica di una democrazia evoluta. Così, liberandosi dal peso di ideologie e convenienze di parte, si (ri)scopre che gli atti conosciuti dall'indagato non sono più segreti – quindi pubblicarli non è reato – e che anche le intercettazioni, se autorizzate dal giudice e trascritte in atti depositati, non sono più coperte dal velo opaco dell'istruttoria. Perché in uno stato di diritto la vera minaccia alle libertà individuali, e quindi collettive, è appunto l'opacità necessaria della fase delle indagini, in cui la segretezza è la ragione stessa della riuscita dell'inchiesta. Terminata quella, però, la discovery degli atti è la suprema garanzia del rispetto delle regole, grazie alla quale l'opinione pubblica può verificare – e sorvegliare su – l'uso corretto dei poteri invasivi del Pm.
Il problema dell'equilibrio tra privacy e stampa è tutto qui, e qui iniziano anche i problemi. La disponibilità legittima di un atto giudiziario non ne autorizza l'uso indiscriminato: non tutte le intercettazioni ineriscono al reato, molte sono strettamente private e di nessuna rilevanza giornalistica. Attingervi solo per dar sfogo al prurito del gossip e denigrare personaggi pubblici o perfetti sconosciuti è una violazione. Ma Garante della privacy e tribunali non l'hanno mai avallato, infliggendo multe a 5 o sei zeri.
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Ruben Razzante, Manuale di Diritto dell'informazione e della comunicazione, Cedam, Padova,
pagg. 476, € 39,00

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