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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2011 alle ore 18:53.

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"Pollo alle prugne" di Marjane Satrapi"Pollo alle prugne" di Marjane Satrapi

Una strana settimana quella che ha portato alla conclusione del quinto Abu Dhabi Film Festival, ex Middle East. In un'edizione di altissimo livello e anche molto politica per i temi trattati dai lungometraggi selezionati, è arrivata la notizia dell'esecuzione di Gheddafi. Non ha distratto molto l'attento pubblico della capitale degli Emirati Arabi Uniti: a queste latitudini, come del resto in tutto il mondo arabo, il Rais era disprezzato e soprannominato Cane pazzo. Ma è stato interessante trovarsi in questa parte del mondo, chiedere qualche impressione, scoprire come le televisioni, qui, fossero molto meno morbose nel mostrare i suoi ultimi minuti di vita.

Perché, diciamocelo, sembra un finale da film, con camera a mano (in questo caso telefonino) e scritto maluccio. Una riflessione apparentemente lontana dal racconto di un evento cinematografico, ma l'ADFF non è solo questo. Il lavoro del direttore esecutivo Peter Scarlet, ex Tribeca, e quello della direttrice della programmazione Teresa Cavina- già alacre anima e acuto segugio di film, rispettivamente insieme a Irene Bignardi e Giorgio Gosetti, dei Festoval di Locarno e Roma- infatti, sta costruendo un pubblico e contribuendo alla costruzione dell'anima culturale di una metropoli futuristica che fino a poco tempo fa era un villaggio di pescatori.

Lo fa con coraggio, muovendosi con delicatezza e decisione nella società araba più ricca e progredita, tra i dettami religiosi e il maschilismo istituzionalizzato, tra la voglia di futuro - si pensi a Masdar City, il progetto di città completamente ecosostenibile di Foster - e i lacci del passato. Qui uno dei primi giorni un divo arabo ha passato un brutto quarto d'ora per aver imbracciato una bottiglia di champagne (qualcuno ha fatto finire la foto su Twitter), qui ci sono state ben due proiezioni per sole donne. E Teresa Cavina ci ha raccontato che le più "liberate" da quella semplice ma geniale soluzione di programmazione - come far diventare l'emarginazione un privilegio: gli uomini non potevano entrare- erano proprio le donne occidentali. Donne sono anche le due vincitrici del festival: la Perla Nera del concorso internazionale è andata a Pollo alle prugne di Marjane Satrapi, quella della sezione New Horizons a Stories only exist when remembered, passato agli ultimi Venice Days, di Julia Murat. Un segnale forte e preciso, come d'altronde il premio speciale della giuria al capolavoro Una separazione (ora nelle sale italiane) di Asghar Farhadi, oppositore del regime iraniano e sodale di Jafar Panahi. Ma al di là dei premi, che potete trovare sul sito, c'è da sottolineare la potenza di un programma che ci ha messo di fronte ai temi fondamentali dell'ecologia con il docu-biopic sul pirata Paul Watson, dell'identità sessuale e individuale con She Monkeys, della condizione difficile e dolorosa di una donna indiana, Freida Pinto, in Trishna di Michael Winterbottom (dopo il Boyle di The Millionaire, gli inglesi ora colonizzano l'India col cinema, anche se il regista di Blackburn era già passato di qua con Code 46).

C'è il documentario fiume su George Harrison di Martin Scorsese, più di tre ore affettuose e curiose senza però dimenticarne il lato oscuro. Tanto bel cinema del reale, ma anche ottimi film di finzione. E il pubblico dell'Abu Dhabi Theatre come delle sale del Vox è rimasto sempre partecipe ai dibattiti seguenti, con un livello di curiosità e analisi notevole. L'impressione è che continuando a puntare su questo gruppo di lavoro e su questa strategia culturale, l'Abu Dhabi Film Festival possa diventare sempre più forte e non solo nel panorama mediorientale. Le grandi rassegne non mancano- si pensi al Festival del Cairo, ma l'impressione è che i premi in denaro molto alti (la regista iraniana Satrapi si è portata a casa 100.000 dollari) e la possibilità di rappresentare un crocevia di mercato molto forte nel futuro, potranno renderlo un evento strategico, nel panorama "locale" e internazionale. Era d'accordo con questa analisi anche la collega egiziana Sara Nabit: 23 anni, editor di una delle radio principali del medioriente, autrice e conduttrice. Il ritratto intelligentissimo, bello e sorridente del meglio della primavera araba, la conferma che su di noi, invece, così incapaci di puntare sui giovani e sulla cultura, stia calando l'inverno.

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