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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2011 alle ore 08:15.

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I numeri parlano da soli. Nel periodo fra il 1951 e il 1958 il prodotto interno lordo dell'Italia aumentò a un tasso medio annuo di oltre il 5%, nel 1959 sfiorò il 7% e superò l'8% nel 1961. Nel 1964, il reddito nazionale netto era aumentato del 50 per cento. Fra il 1953 e il 1961, la crescita media della produttività fu del l'84%, accompagnata da un incremento dei salari del 49 per cento. In quegli anni, per la prima volta nella storia millenaria delle popolazioni stanziate nella penisola, la quota della popolazione attiva che lavorava nell'industria e nei servizi superò i lavoratori del settore agricolo. In poco più di un decennio, l'Italia era diventata irreversibilmente un Paese industrializzato. Fu la più radicale trasformazione economica mai avvenuta nella penisola. Nel maggio 1959 il quotidiano inglese Daily Mail affermò che il livello di efficienza e di prosperità raggiunto dall'Italia era «uno dei miracoli economici del continente europeo». L'anno successivo, mentre si svolgevano a Roma i giochi olimpici e la nuova Italia del "miracolo economico" fu visibile in tutto il mondo, una giuria internazionale nominata dal Financial Times attribuì alla lira italiana l'Oscar della moneta più salda dell'Occidente.
Molti storici hanno fatto propria l'espressione "miracolo economico" per denominare quel periodo; ma sarebbe opportuno evitare metafore taumaturgiche per definire i fenomeni storici, i quali, per quanto straordinari, sono umani, soltanto umani. Si può perciò apprezzare anche per la sobrietà del titolo, Anni di novità e di grandi cose, il libro nel quale Patrizia Gabrielli racconta come gli anni del "boom" economico furono vissuti da italiane e italiani di gente comune, che ha affidato le esperienze di quel tempo a diari, autobiografie, memorie, ora raccolte nel Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, che dal 1984 svolge la benemerita opera di preservare documenti privati di vita vissuta. «Quello di tenere un diario o di scrivere a una certa età le proprie memorie – aveva auspicato l'autore de Il Gattopardo – dovrebbe essere un dovere "imposto dallo stato": il materiale che si sarebbe accumulato dopo tre o quattro generazioni avrebbe un valore inestimabile: molti problemi psicologici e storici che assillano l'umanità sarebbero risolti». Senza arrivare a condividere l'ottimismo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa sulla efficacia risolutiva di molti problemi, certamente è valido il contributo che i documenti di vita della gente comune possono dare a una più realistica comprensione del passato.
Dalle testimonianze studiate dalla Gabrielli, infatti, non appare alcuna percezione miracolosa di quegli anni, mentre molte ricordano, per esperienza diretta, lo sfruttamento di operai senza tutela, la quotidiana fatica di donne discriminate e angariate in casa e nei luoghi di lavoro, le sofferenze degli emigranti. Fra il 1955 e il 1963 oltre un milione di contadini, carne da vagone, si trasferì dal Sud al Nord, a Milano, Torino, Genova. Mai, nella millenaria storia degli abitanti della penisola, c'era stato un esodo così imponente dalla campagna alla città. Fra il 1951 e il 1967, la popolazione di oltre 400.000 abitanti, Milano aumentò di oltre ottocentomila residenti. Nel 1951, Roma aveva 1.651.754 abitanti, dieci anni dopo erano diventati oltre due milioni.
Non ci fu niente di miracoloso nel vortice di un rapido cambiamento che coinvolse nelle città come nelle campagne, in ogni regione d'Italia, operai, contadini, impiegati, artigiani, casalinghe, studenti. Milioni di italiane e di italiani vedono in quegli anni mutare profondamente le loro esistenze, «menti che mangiano, ai trasporti che utilizzano fino alla musica che ascoltano e agli abiti che indossano». Per molti, fu il 1960 l'anno "mitico" della svolta epocale, «il passaggio alla modernità», che scavava un profondo solco fra il prima e il dopo: «Io dico sempre – narra uno dei diaristi – che chi ha vissuto anche prima della guerra come me, ha vissuto in due mondi diversi». E in quegli stessi anni, gli italiani cominciarono a diventare un popolo di consumatori. I consumi privati crebbero a una media annua del 5% nel periodo 1951-59 e dell'8% nel 1959-63. Fra 1958 e il 1963 le famiglie italiane che possedevano un televisore passarono dal 12 al 49%, e dal 13 al 55% quelle che avevano il frigorifero. E ancora: nel 1954 circolavano sulle strade italiane circa 700.000 automobili, dieci anni dopo erano 5 milioni. Fra il 1959 e il 1964 furono completati i 755 km dell'Autostrada del Sole da Milano a Napoli. Inoltre, nel 1954 iniziò la diffusione del televisore: gli abbonati erano meno di 90.000 nel 1954, erano oltre 600.000 nel 1957 e tre anni dopo superavano i 2 milioni. La televisione copriva già tutta la penisola, abituando milioni di italiani a una lingua comune, più di quanto non fosse riuscita a fare la scuola nei primi cento anni di unità.
Dal ricordo di italiane e italiani, osserva la Gabrielli, «colpisce il giudizio positivo su quegli anni» perché «l'accento batte sul nuovo benessere raggiunto, sul miglioramento delle abitazioni e sugli elettrodomestici che le arredano, sulla disponibilità del tempo libero, sulla possibilità di mangiare di più e meglio rispetto al decennio precedente». E il nuovo benessere diffuse fra i 50 milioni di abitanti della penisola nuovi costumi, nuove abitudini, nuovi comportamenti, una nuova mentalità, rendendoli più similmente italiani di quanto non lo fossero mai stati nei secoli precedenti. Ma non li rese più cittadini dello Stato nazionale, che nel 1961 celebrò il suo centenario.

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