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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2011 alle ore 20:19.

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Molti temono che il sistema dell'arte contemporanea a Torino sia ammalato, verificando una maggiore vivacità di Roma, Venezia e altre sedi. La città sta perdendo parte del suo entusiasmo e molti dei suoi fondi. Ma il direttore della fiera Artissima, Francesco Manacorda, al suo secondo anno di mandato, la ripropone come numero uno tra le fiere sperimentali in Italia.

Nel frattempo, il Miart di Milano affila le armi e dopo la nomina del nuovo direttore Frank Boehm è il suo solo possibile competitor, dando per assodato il ruolo di Bologna quale fiera più vasta ma meno aggressiva. In un contesto in cui le fondazioni Merz e Sandretto cercano un riposizionamento e si vocifera di un progetto di accorpamento Gam-Castello di Rivoli in una medesima sede, alle Ogr, Artissima procede dunque per la sua strada, con fatica ma anche con fantasia. Manacorda usa i varchi aperti dal disorientamento per invenzioni nuove: «La crisi sta ridimensionando tutte le istituzioni dell'arte in Italia e all'estero», ci racconta.

«Per Artissima la scommessa è ancora quella di rappresentare un festival dell'innovazione che, sia per la parte commerciale che per quella non commerciale, si manifesta come emergenza del nuovo e sviluppo della sperimentazione. Bisogna capire se questa formula sarà sostenibile nei prossimi anni, ma io credo che lo spazio per questo approccio si riuscirà a ricavare sempre. Per il momento l'opportunità si nasconde nella necessità di ripensare formati e convenzioni». Il novero delle iniziative è impressionante e anche un po' cervellotico, dentro e fuori i confini della fascinosa architettura Oval: un luogo concepito ai tempi delle Olimpiadi e rimasto senza compiti fissi. Accanto alle gallerie espositrici, Manacorda ha voluto anzitutto che, centro del padiglione, prenda corpo un progetto curato insieme all'artista Lara Favaretto. È una delle più attive e riconosciute dell'ultima generazione; dopo l'exploit di due anni fa alla Biennale di Venezia e molti premi, ora l'attende Documenta.

La rassegna da lei curata ha come titolo una frase che viene dalla terminologia matematica, «Approssimazioni razionali semplici», che significa più o meno una previsione su dati noti ma anche con una zona di incertezza. Ciò che dovremmo trovarvi è un modello di museo che comprende una zona di Eat Art sotto forma di esposizione di torte (torte!); alcune performance Pierre Bal-Blanc seguite da una conversazione; proiezione di film prodotti dalla Chisenhale Gallery di Londra; tre giorni di conferenze e proiezioni sul modo in cui la conoscenza si dipana nel mondo, organizzate da Bétonsalon, Triple Canopy e Salon Populaire; un laboratorio scientifico e didattico progettato France Fiction; una libreria ordinata secondo un criterio di libere associazioni; presentazione in tempo reale dei dati sulla fiera; una documentazione sulle mostre più importanti del XX secolo all'interno dell'Hypnotic Show, curato dal brillante giovane critico Raimundas Malašauskas.

Un'ulteriore sezione sarà quella intitolata Back to the Future e dedicata alla riscoperta di alcuni artisti non giovani, che possono reclamare un'attenzione maggiore rispetto a quella avuta nel passato. Il comitato che li ha scelti comprende Massimiliano Gioni, direttore associato del New Museum New York e direttore artistico della Fondazione Trussardi, Jessica Morgan della Tate di Londra e Christine Macel, curatore capo del Centre Pompidou di Parigi. Tra gli artisti prescelti Ketty La Rocca, Peter Hutchinson, Natalia LL, Giosetta Fioroni, Giuseppe Chiari.

Ancora artisti per curare il progetto «Artissima LIDO», che nasce dall'idea di fare un festival di spazi espositivi autogestiti che hanno recentemente visto una vera esplosione. Così Christian Frosi, Renato Leotta e Diego Perrone hanno scelto gruppi e singoli da fare esporre in negozi, ristoranti, caffè, laboratori e cortili del Quadrilatero romano. Manacorda spiega così la relazione che ha voluto sollecitare: «Il dibattito riguardo la commistione di ruoli tra artista e curatore si è evoluto molto negli ultimi anni, non soltanto rispetto alle mostre curate da artisti ma anche alla possibile autorialità artistica dei curatori. L'aspetto che a me interessa di tutto ciò è quando la pratica di un artista e le sue componenti di rottura si possono espandere nel discorso curatoriale portando la ricerca dell'artista a un livello enunciativo più ampio. Nel caso specifico, curare un programma a latere di una fiera – che sia fatto da un curatore o da un artista – non è come fare una mostra per via delle forze in gioco nella manifestazione commerciale.

Ho voluto chiedere a Lara Favaretto di immaginarsi un museo come estensione della sua visione e dei temi che tratta nel suo lavoro quali per esempio la dicotomia permanente/temporaneo e il concetto di lavoro come macchina con vari ingranaggi. Mi è anche sembrato naturale reiterare il concetto di artist-run a un livello superiore e dare a 3 artisti che avessero le conoscenze giuste carta bianca per la scelta dei partecipanti e la selezione del contenuto.

La scelta appare coraggiosa anche per la generazione di artisti a cui è stato dato rilievo, quella di quarantenni emergenti e non di nomi consolidati. Prosegue il direttore di Artissima: «Nel panorama attuale è proprio questa generazione che ha sviluppato una linea nel proprio lavoro che può essere trasferita nel processo curatoriale. Una pratica personale definita permette di ripensare in maniera originale e dirompente i canoni espositivi». Sarà curioso vedere come si interconnettono l'opinione dell'artista, quella del mercante e quella del curatore: punti di vista spesso divergenti o tesi a correggersi a vicenda. «Tradizionalmente sono certamente diversi, ma negli ultimi anni in alcuni casi sperimentali convergono. Per esempio tra i partecipanti del progetto «Approssimazioni razionali semplici» ci sono curatori la cui pratica è simile a quella di artisti loro coetanei (penso in particolare a Raimundas Malasauskas e Pierre Bal-Blanc). D'altro canto, alcuni galleristi hanno un progetto così sofisticato da essere paragonabile a un progetto curatoriale a tutto tondo».

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