Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2011 alle ore 08:16.

My24

Alla Scala è ritornata in edizione vocalmente splendida una delle opere più rare e fatate di Rossini: La donna del. Sì, è vero, manca qualcosa. Ma chi lo ha visto il lago del titolo? Non c'è mai. Quando lo devono attraversare, nel Duettino di attacco che è subito un numero magico, un'alba chiara con le note fatte di acqua, dove senti persino il legno del remo che la fende, piano piano, i due – il re e la bella Elena – non possono prendere la prevista romantica barchetta. Non c'è. Da una botola affiora un altro mezzo di trasporto: un obelisco dorato, con fregi ittici. I nostri ci si pigiano stretti dietro, immobili, e il "picciol legno" diventato ascensore si inabissa. Non si è visto nemmeno, ai saluti finali, il regista, Lluis Pasqual. Lo spettacolo è suo, coproduzione con l'Opéra di Parigi, dove ha debuttato nel giugno 2010. Qui a Milano, prima ripresa, affidato a un sostituto. Certo, non c'era molto da fare nella scena fissa, dominata da un onnipresente edificio ligneo, a doppia balconata e sequenza di colonne a tutta altezza. Suggestivo, di imponente bellezza, con la firma dichiarata del gran mago Frigerio. Ma utilizzato solo come quinta, monumentale, di nessun dialogo con l'azione. Teatro inabissato, relitto finito dopo un nubifragio sotto un lago? Bella idea. Ma allora qualche elemento in più di azione e luci avrebbe dovuto raccontarcelo. Reperto archeologico, in aperta campagna, dove un gruppo di ricchi ospiti (come dicevano gli abiti del Coro della sempre magnifica Franca Squarciapino) si divertiva a immaginare una festa in costume? Una recita improvvisata? Tutto possibile. Ma lasciato alla nostra immaginazione.
Qualità della compagnia di canto, invece, davvero stratosferica: Florez, Barcellona, DiDonato e un secondo tenore come Osborn. Rossini oggi ha ritrovato fasti leggendari. La scrittura iperbolica, iperfiorita, con le puntate nei registri estremi (ottimi i do di John Osborn, Rodrigo, un pasticcino dopo quelli del Tell di Roma, e fantastica sempre la tinta morbida e piena di Daniela Barcellona, Malcolm), la tensione del fraseggio, la gara dei concertati finali, non avrebbero potuto ricevere realizzazione migliore di quella della Scala. Ma proprio perché i cantanti sono uomini di teatro, la loro bravura spettacolare, l'adesione eroica alle note di Rossini, sembravano naturalmente chiedere di potersi estendere in azione, gesto, dramma. Invece no, tutti ingessati: quando i due tenori si sfidano, rivali in amore e in guerra, il re e Rodrigo, stanno con le spade sguainate ai lati del palcoscenico. E mai vista una Scozia tanto brulla, solo con un fondale, stropicciato, di montagne. Tutto il romanticismo rossiniano (1819) usciva invece prepotente nella direzione di Roberto Abbado, scrupoloso nel far emergere i gesti ritmici astratti, anticati, ma stemperati in un morbido suono d'assieme, appoggiato sui timbri dei corni, dei legni. Menzione d'onore al clarinetto, che qui ha un vero concerto solista da svolgere.
Accoglienza da delirio in sala, con ovazioni interminabili (dopo quelle durante gli atti) anche per la protagonista, Joyce DiDonato, data per indisposta a inizio opera e che invece teneva resistente, svettando nel Rondò finale, con cascate di note trascinanti. Discreto il basso Orfila, padre severo, privo di un'Aria felice, buona l'Albina di José Maria Lo Monaco, migliorabili i tenori comprimari, Kwon e Shin. Ma re e regina della serata erano Barcellona e Florez: lei oltre che per le colorature, memorabile nella finezza di scolpitura del Recitativo della sua Aria di sortita, da chiederne il bis. Lui col sorriso nelle note, cromatismi compresi, ma con quella punta di malinconia in chiusura – lui che perdona tutti e che resta solo – da lasciarci il cuore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La donna del lago, di Rossini; direttore Roberto Abbado, regia di Lluis Pasqual; Teatro alla Scala, fino al 18 novembre

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi