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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2011 alle ore 13:22.

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Ci voleva il regista di LA Confidential per raccontare la nostra realtà economica al meglio. Uno che sa plasmare la verità in una struttura narrativa complessa ed efficace, usando gli schemi del genere cinematografico - in questo caso il thriller "chiuso" nelle stanze del potere - per aprirci gli occhi sui segreti di un capitalismo in crisi di liquidi, di idee, di regole morali.

Lo si capisce subito in «Too big to fail», ennesima opera civile e politica targata HBOFILMS, presentata al 6° Festival Internazionale del Film di Roma come Evento Speciale e in onda, in prima tv, venerdì 4 novembre alle 21.10 su Sky Cinema1HD. Le prime immagini sono frutto di un montaggio forsennato di lanci televisivi e giornalistici, analisi economiche e annunci allarmisti, il riassunto di quei giorni di fuoco del 2008 in cui gli Stati Uniti sono stati a un passo dal default.

Il documentario «Inside Job» ha provato a tracciare una struttura di sistema di quei fallimenti-domino che misero in ginocchio Wall Street. Margin Call, tra i film di finzione, ci ha fatto entrare all'interno della notte dei lunghi coltelli di una di queste società; Oliver Stone è tornato su uno dei suoi capolavori per farci spiegare in Wall Street 2 da Michael Douglas la new economy: ora Hanson punta lo sguardo e il dito sul governo statunitense.

Mostra Reagan e Clinton inneggiare alla deregulation e alla libertà delle banche commerciali, Bush Jr proporre una casa per tutti (senza dire che i mutui a pioggia e senza garanzie avrebbero creato un crack pauroso), fissiamo lo sguardo preoccupato e forse sconfitto di Hank Paulson, ex numero 1 della Goldman Sachs e Segretario del Tesoro dell'ultima presidenza di George W. Bush. Lui ha gestito i salvataggi di banche e affini, lui ha lasciato fallire la Lehman Brothers, lui ha tentato il tutto per tutto, puntando sul banco sbagliato e sulle banche sbagliate. E per interpretare quest'uomo di governo arricchitosi con quelle strategie di mercato che poi ha bacchettato, scoprendo troppo tardi che le ragioni del denaro dovevano sottostare alla ragion di stato, ci è voluto il miglior William Hurt (straordinariamente somigliante a Steve Jobs, peraltro: se lo segni chi pensa di fare un biopic sul guru di Apple).

Tormentato, teso, carismatico, con occhi accesi dallo stress e dalla passione, è attraverso quel viso che passa la crisi mondiale mai arginata, ormai, da tre anni. Impersona straordinariamente la sconfitta di un sistema, l'umiliazione di un governo che fa al massimo da cameriere volenteroso ai giganti della finanza, tradendo tutti i principi del Sogno Americano, finendo, addirittura, per nazionalizzare le grandi banche, per "salvare" chi aveva riempito il mercato di titoli tossici, chi vendeva debiti inesigibili. E vedere oggi quello che successe nel 2008, fa tremare i polsi. Sostituite la Grecia alla Lehman, l'Italia alle sue concorrenti e potreste avere un quadro molto angosciante. E terribilmente realistico. Niente, nessuno è troppo grande per fallire.

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