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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2011 alle ore 19:11.

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Il 6 aprile del 1911 si apriva a Bologna il IV Congresso Internazionale di Filosofia sotto la presidenza di Federigo Enriques. Enriques? Un «professore di matematica che si diletta di filosofia», lo definisce un astioso Benedetto Croce in una celebre intervista rilasciata a un quotidiano dopo la conclusione del Congresso.

Quel «professore di matematica» è in realtà un geniale matematico, che ha dato contributi di eccezionale valore nel campo della geometria e, all'epoca, è ormai considerato uno dei maestri della scuola italiana di geometria algebrica, una scuola che si è affermata su posizioni di riconosciuta avanguardia sulla scena internazionale. Insomma, uno dei grandi della matematica della prima metà del Novecento.

Non solo. Quando, con l'inizio del secolo, si chiude la straordinaria stagione della collaborazione scientifica con Guido Castelnuovo, che in meno di dieci anni ha portato alla creazione della teoria delle superfici algebriche, l'impegno di Enriques si manifesta in misura crescente sul terreno filosofico e culturale. «La filosofia penso debba essere fatta da spiriti scientifici, e in servigio della scienza», egli scrive all'amico Vailati nel 1901 annunciando la convinzione che lo porterà, di lì a qualche anno, a lasciare i «campi della Geometria, ove il pensiero riposa tranquillo nella sicurezza degli acquisti» per inoltrarsi decisamente sul terreno della filosofia. La riflessione critica sui principi della geometria e sulla natura dello spazio rappresenta per Enriques non solo il punto di partenza ma un continuo termine di confronto nell'elaborazione della sua filosofia "scientifica". Come dirà ne I problemi della scienza (1906), era stato infatti il progresso della geometria nel corso del secolo appena concluso ad avere agito «direttamente sopra lo sviluppo del razionalismo».

In particolare, le geometrie non euclidee avevano reso «manifesto che le nostre nozioni geometriche, in quanto si riferiscono alla realtà sensibile, non possono in alcun modo pretendere a quella rigorosa certezza, che fu tenuta come uno degli argomenti più forti in favore del loro carattere a priori». La critica al kantismo si accompagna all'idea che «il progresso della scienza è procedimento di approssimazioni successive, dove dalle deduzioni parzialmente verificate e dalle contraddizioni eliminanti l'errore delle ipotesi implicite, sorgono nuove induzioni più precise, più probabili, più estese». Un'idea ribadita nel 1912 in Scienza e razionalismo: «La corrispondenza fra i concetti scientifici e la realtà sensibile rimane sempre una corrispondenza approssimata, ma il valore obiettivo della razionalità del sapere consiste in ciò che il processo della scienza è un processo di approssimazioni successive illimitatamente perseguibile».

Nel 1906, intervenendo a Milano al convegno della Società Filosofica Italiana Enriques sostiene, in polemica con il ministro della Pubblica istruzione, «l'assurdità di preparare i futuri filosofi con una esclusiva educazione storica e letteraria», rivendicando per la matematica «un posto d'onore fra gli insegnamenti che preparano alla filosofia». Nel successivo congresso della Società a Parma afferma che «il rinascimento filosofico nella scienza contemporanea» chiude definitivamente la stagione del positivismo, «l'epoca che si distinse su tutte come antifilosofica» e che «fu in realtà dominata da una filosofia particolare», il positivismo appunto.

In quegli anni l'attività del matematico e filosofo Enriques è frenetica. Viene eletto presidente della Società Filosofica Italiana, con Rignano e altri dà vita a «Scientia», fonda la «Rivista di filosofia», organizza congressi filosofici nazionali e internazionali, come quello di Bologna. L'impegno in campo filosofico si accompagna a una altrettanto intensa attività di ricerca in campo matematico, premiata nel 1909 col Premio Bordin dell'Académie des sciences di Parigi attribuita a un'ampia, fondamentale memoria scritta con l'antico allievo Francesco Severi. Agli occhi di Croce e Gentile, Enriques è un antagonista, che trova credito nella comunità filosofica internazionale. Con Enriques la polemica è accesa, i toni violenti. Più che quella polemica, è tuttavia la Prima guerra mondiale a segnare per Enriques la fine di una stagione e una cesura profonda, resa emblematica dal suo abbandono della direzione di «Scientia».

Del resto, la sostanziale estraneità rivendicata alla scienza dalle vicende contingenti della vita politica sembra essere la chiave di lettura del l'attività di Enriques anche negli anni del fascismo. Che, messe da parte le antiche polemiche, non gli impedirà di collaborare con Gentile dirigendo la sezione di Matematica dell'Enciclopedia Treccani. Di fronte all'idealismo di Croce e Gentile trionfante in Italia, Enriques non rinuncia tuttavia a continuare la sua battaglia filosofica in scritti che trovano attenti lettori al l'estero, soprattutto in Francia. «La filosofia della natura è caduta nel nulla», osserva con amarezza Enriques in un saggio apparso in francese nel 1934. «I nuovi idealisti credono di sbarazzarsi del suo peso morto ritenendo ogni forma di studio della natura come una maniera di attività pratica, indifferente al pensiero. In tal guisa, non solo impoveriscono l'idealismo ma, ciò che è più grave per dei pensatori storicisti, commettono un errore antistorico. Perché tutta la storia della filosofia, almeno della filosofia occidentale, prende norma e ispirazione dal pensiero naturalistico».

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