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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2011 alle ore 18:55.

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Senza assolutamente volerlo sminuire, lo si potrebbe definire un musical. Nel suo significato più colto. Perché pop, popolare. E, nello stesso tempo, raffinato, nella forma e nella costruzione. Perché musica rock – una scatenata band dal vivo - e danza contemporanea, sono sullo stesso piano. Si nutrono e si alimentano reciprocamente. Perché scenografia e luci, accuratissime, sono anch'essi protagonisti, pensate drammaturgicamente.

A "Political mother" di Hofesh Shechter, manca solo la parola. Ma essa, e gli argomenti che suscita, è leggibile in quella danza trascinante che attinge a radici etniche elaborate in movimenti del vocabolario contemporaneo. Sulle note della "Messa da Requiem" di Verdi, un samurai esegue un lento rituale tipico che culmina nel harakiri. In quella forma di suicidio con l'affondo e il taglio orizzontale dell'addome, il punto del corpo dove, secondo un'antica tradizione giapponese, risiedono le forze vitali dell'uomo, c'è l'input dello spettacolo.

Al gesto secco della spada trafitta segue improvvisamente un cambio d'atmosfera con l'esplosione del suono di chitarre elettriche e percussioni dal vivo. È la deflagrazione dell'immaginario politico e umano del coreografo anglo-israeliano, per parlarci di schiavitù e di libertà, di dittature e autoritarismi. Temi cari a Shechter dei quali scandaglia i meccanismi perversi, le dinamiche interiori, le posture derivanti, la psicologia di massa, con la carica bruciante della danza e la potenza eversiva della musica rock.

Una fusione di due linguaggi ad alto tasso di energia. Su una struttura metallica a più piani – prigione e gabbia d'incomunicabilità – colloca i singoli musicisti, simili a militari, illuminandoli a sprazzi; e, al centro, in alto la figura ossessiva di un danzatore o di un musicista che assume a intervalli i toni concitati e gli atteggiamenti tipici del despota, del dirigente o del politico, del folle divorato dalla sete di potere. Questi inneggia proclami di trionfi con suoni gutturali animaleschi, incita le folle, urla messaggi incomprensibili, incute paura.

Sotto, i danzatori si muovono tremanti con spalle curve, viso chino, pugni serrati, braccia in aria supplichevoli o esaltanti, rivolte verso nemici sia visibili che invisibili, inneggianti al demagogo di turno. Nella danza corale assumono pose da prigionieri, riconoscibili anche nella tuta che indossano e nei passi stretti con immaginarie catene intorno alle caviglie. Si dispongono in fila scrutati dal militaresco passo di un uomo con la maschera da lupo, o da chi punta la pistola; vivono duetti d'amore e di compassione, di solidarietà; fuggono, vagano e rientrano; hanno l'aria di superstiti, di sopravvissuti a qualsiasi violenza.

Sono anche quelli dell'isteria di massa, del fanatismo religioso, del gruppo tribale, della trance collettiva. Al bombardamento sonoro, da guerriglia urbana, seguono improvvisi blackout e cambi di musica, con arie barocche, silenzi, folate di vento: una partitura sonora che, insieme all'incisivo uso delle luci - nei giochi d'ombre e penombre, degli abbaglianti quadrati, dei nebbiosi cerchi – spiazza la visione. Come nella danza di un quartetto di samurai sulle note di un minuetto settecentesco. Implacabile nel ritmo, con quella leggerezza e peso che coesistono all'interno del movimento stesso, "Political mother" difetta per dei momenti dove la tensione cala per la ripetizione dei contenuti e del vocabolario dei movimenti, ma è talmente trascinante da farceli dimenticare.

"Political mother" di Hofesh Shechter Company

Creazione commissionata dalla Biennale de la Danse de Lyon, Théâtre de la Ville, Romaeuropa e Mercat de les Flors. All'Auditorium Conciliazione per Romaeuropa Festival. Il 18 e 19 alla Schauspiel Köln, Cologne

www.romaeuropa.net

www.hofesh.co.uk

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