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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2011 alle ore 12:39.

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Daniel KahnemanDaniel Kahneman

Thinking, fast and slow è un Bildungsroman della mente che pensa se stessa. Il primo libro che lo psicologo israeliano e premio Nobel per l'Economia Daniel Kahneman rivolge ai non specialisti. Quarant'anni di ricerche ed esperimenti sui meccanismi cognitivi che si celano dietro al nostro agire quotidiano sono ripercorsi attraverso l'avventura di due peculiari protagonisti: il sistema 1 e il sistema 2. Sullo sfondo, una nuova concezione della razionalità umana, meno idealizzata e assoluta, ma più realistica e aderente alle reali capacità della nostra mente. In prospettiva, un modo per non farsi manipolare da chi sfrutta cinicamente la nostra vulnerabilità cognitiva, e quindi potenzialmente per vivere vite più lunghe, sane e felici.

L'avventura inizia a Gerusalemme: alla fine degli anni Sessanta, Daniel invita per un seminario alla Hebrew University il suo di poco più giovane collega Amos Tversky. Amos è la stella nascente della psicologia della decisione, chi lo conosce lo descrive come «la persona più intelligente che avesse mai incontrato». «Le persone sono naturalmente capaci di ragionare in modo statistico?», lo incalzò Kahneman. Se oggi sappiamo che la risposta è negativa è grazie a loro. Né i profani, né gli esperti sono statistici intuitivi; e neppure logici ed economisti. Sbagliamo nel trafficare con le probabilità, con le deduzioni e con l'analisi costi e benefici.

L'intuizione ci porta fuori strada. Lo fa sistematicamente. La direzione di questi sbagli esige una spiegazione. E la spiegazione ci svela come funzioniamo. Un lavoro quasi archeologico dove si cerca di immaginarsi il tutto partendo da alcuni reperti, ovvero i risultati degli esperimenti.
Nei trent'anni che seguirono quell'incontro – Tversky morirà di tumore nel 1996, il libro è dedicato a lui – i ritrovamenti furono molti ed entusiasmanti. In questo libro Kahneman dice di poterli ricondurre a un comune denominatore. È tutta una questione di lentezza (o di velocità). Pensiero veloce e pensiero lento sottostanno ai processi cognitivi, e sono impersonificati, rispettivamente, dal sistema 1 e dal sistema 2 (ma, dice Kahneman, se li avessi chiamati "Joe" e "Bob" sarebbe andato altrettanto bene). Il sistema 1 è intuitivo, impulsivo, associativo (adora saltare alle conclusioni), automatico, inconscio (non sa perché fa quello che fa), veloce, ecologico ed economico (spreca letteralmente poca energia, cioè glucosio). Il sistema 2 è consapevole, deliberativo, lento, se non addirittura pigro, faticoso da avviare, riflessivo, educabile ed educato, costoso in termine di consumo energetico. Sistema 1 e sistema 2 «non esistono né nel cervello né da nessuna altra parte», sono una "finzione ben fondata", una metafora che ci aiuta a fare luce sulla nostra vita mentale. Per esempio, è grazie al sistema 1 che riusciamo a intercettare istantaneamente (in circa trenta millesimi di secondo, cioè prima ancora di saperlo) la paura sul volto di una persona. È invece merito del sistema 2 se riusciamo a risolvere (lentamente) 17x24. In questo caso ciascun sistema opera nel proprio dominio di competenza. Ma non è sempre così. L'interazione dei sue sistemi può dare luogo a uno psicodramma – mai termine fu più calzante –. La maggior parte dei nostri errori è infatti il prodotto di giudizi intuitivi del sistema 1 che non sono passati al vaglio del sistema 2, prodotti di contrabbando insomma. Ecco un esempio: «In un prato c'è una zolla d'erba; ogni giorno la zolla raddoppia di dimensione; ci vogliono 48 giorni per coprire l'intero prato. Quanti giorni ci vogliono per coprire metà prato?». La risposta immediata del sistema 1 è 24 giorni. Ma la risposta intuitiva è sbagliata. Per rendersene conto occorre riflettere, cioè attivare il sistema 2, che dà la risposta corretta, 47.

Se il sistema 2 resta passivo, finiamo per credere vere impressioni false, vale in questo caso, vale per le illusioni ottiche e vale soprattutto per i giudizi e le decisioni quotidiane. E occorre fare attenzione perché a metterci nei guai seriamente non è tanto ciò che non sappiamo, ma ciò che, sbagliando, crediamo di sapere. La maggior parte delle nostre scelte è il prodotto automatico del sistema 1, che lascia al sistema 2 solo l'illusione di essere al centro dell'azione. Nonostante il sistema 2 tenti di giustificare ex post la "razionalità" dei nostri comportamenti, la maggior parte di questi è determinata dal sistema 1. Lo stesso può dirsi per la ricerca della felicità. Il sistema 1 ci seduce anticipando il piacere puro che proveremo per una macchina nuova o un aumento di stipendio; eppure «niente nella vita è tanto importante quanto pensiamo che lo sia nel momento in cui lo pensiamo»: ma per capirlo ci vuole, appunto, il sistema 2.

Una volta compreso che le nostre decisioni possono essere influenzate agendo sui meccanismi automatici del sistema 1 si pone però un dilemma: ovvero se proteggere oppure no gli individui dai loro errori. Si noti che nella cornice dell'economia neoclassica il problema non si pone. Gli agenti sono razionali e onniscienti. Per definizione, non commettono errori. In questo senso non c'è un costo per la libertà. Ma se la nostra razionalità ha dei bachi sistematici, allora è legittimo intervenire affinché gli individui non finiscano sfruttati a causa dei capricci del loro sistema 1 o della pigrizia del sistema 2. La presenza di una "spinta gentile" (dall'influente Nudge di Sunstein e Thaler che Kahneman cita come la «bibbia dell'economia comportamentale») a "fare la cosa giusta" può risultare indispensabile, specialmente quando in veste di cittadini e consumatori siamo dilettanti allo sbaraglio costretti ad affrontare un esercito di professionisti della manipolazione. Dopo essere già stato consigliere della campagna elettorale di Obama, qui Kahneman rivendica apertamente la necessità di progettare istituzioni e disegnare norme affinché venga accresciuto il benessere di coloro che scelgono e non di coloro (compreso lo Stato in alcuni casi) che traggono vantaggio particolaristico ed egoistico dalle debolezze umane e dall'opacità dei contesti decisionali. Ma fino a quel giorno come potremo difenderci da noi stessi e dagli altri?

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