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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2011 alle ore 09:21.

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Ida Vallerugo, La luce generale
Tibet Maa normalità mia alta
crollata all'improvviso nel sonno, assorta già
in sogni grandiosi
già entrata docile respiro, in quella oscura fatica
che tutto spinge e trasforma

Quanto dura la morte?
No, la fine è finita.
È finita la fatica
di rinascere ogni giorno in qualche modo.
Il morire di ogni giorno, Maa, è la morte
e io non ne posso più di morire, Madre.

In te ogni respiro, ogni azione
così faticati erano uguali e differenti
come le dita della tua mano
ancora tiepida tra le mie mani.
Un grande legame
univa ogni tuo fare dentro
il quieto massacro del tuo mondo contadino
accettato come la siccità e la pioggia.
Tutto doveva essere fatto. Tutto aveva
nel suo essere uguale e differente

la luce della necessità

la luce generale della tua vita.

Non è questo
voltarsi indietro al tuo mondo condannato
radicchio mio pieno di pioggia
ma il tuo mondo
non ti aveva ancora tolto
la sicurezza di arrivare a sera
non sfigurati.

In me ogni interesse, ogni azione
sono da troppo tempo come staccati
ognuno per conto loro
foglie di alberi diversi
che si staccano dallo stesso ramo.
Si è abbassata di tanto, Madre,
si spegne!
la luce generale
che illumina nella stessa maniera
ogni luogo di un luogo.
Quella luce che è tutto nella vita

E se non è questo
non c'è più niente.
Io non sono più io, Madre.

"Taci, non darmi questo dolore".

Se questa è ancora luce
e non invece gli occhi drogati
di questa lunga notte del venticinque maggio
che sogna di avere occhi e piove
miele di acacia e luna sulla tua fronte
che si distende, sui prati, sulle città
sui continenti alla deriva.

Ma guardami, tu che hai
le redini del tempo in mano.
Chi più di me ha voglia di vivere?
Chi più di me ha voglia di dormire?
Perché il mio tempo
è estraneo ai suoi figli
nebbia di sangue pesato
che svanisce in buio.
La sola sicurezza, nessuna sicurezza.
E tu, tu sei morta.

Ida Vallerugo è nata nel1946 a Meduno (Pordenone), dov'è stata insegnante nelle Scuole Elementari. Le sue prime raccolte di poesie sono in italiano: La porta dipinta (Pan, Milano 1968) e Interrogatorio (1972).
Maa Onda. Poesie (presentazione di Andreina Ciceri, Circolo culturale Menocchio, Montereale Valcellina, Pordenone) è la sua prima opera in lingua friulana, pubblicata nel 1997, ma che raccoglie poesie che risalgono anche ai precedenti vent'anni. Nel maggio 1979 la nonna Regina Cilia, Maa Onda, muore: il dolore per la perdita origina desiderio di immedesimazione totale, anche nella lingua. Figurae è la sesta pubblicazione della collana di poesia "La barca di Babele". Ancora nei "Quaderni del Menocchio", nel 2009, esce Sul punt di Sydney il vint. Nel frattempo, Franco Loi l'ha inclusa nell'antologia Nuovi poeti italiani (Einaudi, Torino 2004). La sua ultima raccolta di versi è Mistral.

Pierluigi Cappello è nato a Gemona del Friuli (Udine) nel 1967; vive sempre in provincia di Udine, a Tricesimo. Ha diretto la collana di poesia La barca di Babele, edita a Meduno e fondata da un gruppo di poeti friulani nel 1999. Ha pubblicato Le nebbie (1994), La misura dell'erba (1998), Amôrs (1999), Dentro Gerico (2002). Con Dittico (Liboà, Dogliani 2004) ha vinto il premio Montale Europa di poesia. Assetto di volo (Crocetti, Milano 2006) è stato vincitore dei premi Pisa (2006) e Bagutta Opera Prima (2007). Nel 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta di prose e interventi intitolata Il dio del mare (Lineadaria, Biella 2008). Nel maggio 2010 pubblica Mandate a dire all'imperatore (Crocetti, Milano 2010), col quale vince il premio Viareggio-Repaci.

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