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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2011 alle ore 08:16.

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Altro che i nostri bagarini: a Mosca sono arrivati a stampare biglietti falsi, pur di entrare nel Bolshoj, fresco di restauri, per la Scala con Daniel Barenboim e il Requiem di Verdi. Orchestra e Coro del Teatro milanese sono i primi ospiti stranieri nel teatro appena riaperto e non c'è cristallo fuori posto, l'oro luccica, il lusso per i nuovi zar deborda prepotente. Ma c'è qualcosa che vale di più delle colate di rubli. I russi lo sanno, amano la cultura. Per questo hanno voluto la Scala, prima fra tutti. Perché è il simbolo di ciò che non si può né comprare né copiare.
La Scala è unica e inimitabile in molte interpretazioni, ma soprattutto nel Requiem di Verdi. Ne fa una bandiera, viva: carne, storia nobile e miserie untuose, terrore della fine, necessità di salvezza. In 90 minuti lì siamo noi. L'Italia che va a tutti, testa, pancia, cuore. I 1.600 del Bolshoj ascoltano trattenendo il respiro, poi esplodono nell'applauso riconoscente, gli occhi lucidi. Volevano questo. Il colpo d'ala della cultura musicale emozionante, affinata di leggio in leggio, nel tempo, da Verdi a Barenboim. Sono uniche le "erre" arrotate del Coro di Bruno Casoni, quando dal nulla attaccano Requiem, soffio gelido di morte. Unici gli squilli delle trombe, battenti dall'alto, echi dongiovanneschi mozartiani. Unico il morbido degli archi, un'onda, dalla spalla di Francesco Manara, velluto, sempre in dialogo con le voci. Bellissima quella di Krassimira Stoyanova, soprano corposo; solidi Ekaterina Gubanova e Mikhail Petrenko. Tutti però da rimandare in latino, smussato delle consonanti. Svetta come voleva Verdi l'italianità del tenore, Stefano Secco, sinuoso, chierico, cangiante nei crescendo.
Barenboim, fiero di essere a Mosca col passaporto palestinese, ha nel braccio le Sinfonie di Beethoven che sta eseguendo in teatro a Milano. Si sentono: affiorano nella sonorità dai centri più robusti, nel senso del dramma classico, scolpito dall'interno. La Scala gli consegna la naturale idiomaticità tra suono e parola. Il direttore la fa propria, la rilancia libera nel catino del Bolshoj. Si riscoprono radici (russi i nonni di Barenboim, moscovita la nonna del sovrintendente Lissner), si investe nel presente (sponsor Banca Intesa), si guarda al futuro: il prossimo Don Giovanni del 7 dicembre, a settembre 2012 volerà qui.
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