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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2011 alle ore 17:12.

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Come Apple, Pixar lancia prodotti di seduzione di massa dopo matura riflessione. Nel 1979 nasce come la divisione computer della Lucas Film, affidata a Ed Catmull, un 35enne pioniere dal 1971 della computer graphics, che crea Motion Doctor, il sistema operativo per animare immagini. Sovrappone senza uno iato gli effetti speciali alle riprese con attori in carne e ossa, e serve a realizzare il penoso Howard e il destino del mondo. Insieme al divorzio, il flop dell'anatra col sigaro costringe George Lucas a vendere la divisione a Steve Jobs, nel 1986.

Appena estromesso da Apple, Jobs investe nel Pixar Image Computer – compreso nel prezzo: 5 milioni di dollari – per rivoluzionare l'imaging in medicina, geologia, meteorologia o ingegneria aerospaziale. Nel 1990 il modello P-II 9 rasenta finalmente la perfezione: richiede tanta memoria che il governo rinuncia a comprarne e viene ceduto per 2 milioni alla Vicom che fallisce subito dopo. Gli algoritmi del P-II9 sono già percolati nel Renderman che sta al Motion Doctor come una Ferrari a un triciclo. Catmull e John Lasseter lo usano nell'estate del 1986 per far giocare con un palloncino due lampade "Anglepoise": Luxo e l'irruente Luxo Jr che fa scoppiare il palloncino su un brano di Chick Corea. Presentato alla fiera del Siggraph per dimostrare l'efficacia del shadow-mapping, il cortometraggio di 2'12'', scrisse Catmull, «si propagò come un'onda d'urto nell'industria dell'animazione», e vinse il primo Oscar della serie.

Luxo Jr che ha ora una statua nel campus di Emeryville, sede della Pixar sulla baia di San Francisco, convince Jobs a produrre Toy Story e a delegare ogni aspetto creativo, compresa la scelta dell'équipe di un film e i tempi di realizzazione a Lasseter, il quale per ultimare la demo in tempo aveva dormito in un sacco a pelo sotto la scrivania. Mito preso per vero da David Prince in The Pixar Touch (Vintage, 2009)? Forse no. Oggi fra gli alberi dietro la piscina, un disegnatore lavora in una mitica capanna di legno.

Anche i legami con la ricerca scientifica del Pixar Image Computer sono percolati nel Renderman. In Ratatouille, una miscela di geometrie – dai frattali di Benoît Mandelbrot alle tassellature di Georgij Voronoi – controlla l'opacità cerosa del groviera, la lucentezza satinato delle fette di manzo, le ombre sul piatto di porcellana in cui viene servita la pietanza eponima. Athena Xenakis, la responsabile, spiega la mollica del pane con «un'hypertexture volumetrica definita da una funzione di densità procedurale e texture cellulari basate sui diagrammi di voronoi». Fin qui nulla distingue i film della Pixar da altri ad alto tasso matematico. Però l'ordine di Jobs era «la qualità a ogni costo». Per le espressioni di Wall-E, esistevano già i robot emotivi di Cynthia Breazeal, al Massachusetts Insitute of Technology, non serviva ricerca inedita. Alla ricerca di Nemo ha invece finanziato parte delle spedizioni dell'Istituto Scripps nelle barriere coralline, le immersioni della troupe nelle riserve marine della California, lezioni di idrodinamica per il rendering di un ambiente tutto acquatico. Non è bastato.

La "qualità" dell'acqua era buona, quella dei pesci molto meno. Adam Summers dell'Università di Berkeley ha tenuto un seminario su ecosistemi, catene trofiche e «biomeccanica comparata di vertebrati e invertebrati marini». Peach, la pesce-chirurgo giallo ha la coda più lunga che in natura, ma la pinna più corta di Nemo è attaccata al posto giusto, il prof. Summers ritiene di aver avuto per tre anni studenti eccezionali.

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