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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2011 alle ore 16:05.

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La Domenica del Sole 24 ore del 20 novembre si è occupata, sulla carta e on line, di biblioteche.
Non a caso, visto che tra il 17 e il 19 novembre si è tenuto a Roma il 57° congresso nazionale della Associazione Italiana Biblioteche con il titolo Il futuro in biblioteca, la biblioteca in futuro.

Sul giornale leggiamo dunque una perorazione del Presidente della predetta Associazione in favore degli istituti che rappresenta e, in generale delle altre strutture che hanno a che fare con testimonianze di cultura, come i musei e gli archivi, minacciati nella sopravvivenza dai tagli che, con maggiore o minore virulenza, hanno posto in essere ogni governo e la maggior parte della amministrazioni locali che si sono succeduti negli ultimi e non ultimi anni. Nella generale depressione risultano specialmente colpite le biblioteche, che manifestano i segni di un acuto marasma identitario scatenato in primis dalla rivoluzione digitale, quindi dalla potenza del web e conseguentemente dalla nascita e diffusione degli e book.. Insomma, si profilano, a dir la verità non da oggi, i termini di una questione che potrebbe ricadere in una istituenda "filosofia della biblioteca": un pensare su se e come sia possibile una biblioteca oggi.

Dovrebbe essere ovvio considerare il fatto che quando si parla di una biblioteca si allude a un oggetto culturale complesso, molto variabile per storia, forma, contenuto, dimensioni, finalità, ragione sociale, etc.; insomma la biblioteca può essere declinata in molti modi, anche se, per non infrangere del tutto il principio di non contraddizione, dovremmo essere in grado di trovare un elemento comune alle variabili, di modo che parlare del venerando istituto non significhi discutere di un ombrello o di una locomotiva, o di arredamento. Mi viene naturale, a questo punto, citare brevemente i termini di una piccola discussione innescata da Marino Sinibaldi, che ha trascorsi bibliotecari, nel luglio 2009 nelle pagine della versione on line della rivista il Mulino. L'intervento, dal titolo Che farsene delle biblioteche?, prendeva lo spunto dal libro di Antonella Agnoli Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà (Laterza 2009) per esprimere qualche perplessità sulla tesi che in biblioteca si possa fare di tutto un po', riassunto in epitome dal motto "imparare dai supermercati". «Cosa c'entra tutto questo con le biblioteche e la lettura?», era l'obiezione di Sinibaldi che comunque non sottovalutava l'aspetto relazionale di queste strutture, utili per contrastare, tra l'altro,una certa contrazione della mobilità sociale.

Veniva poi accolto dalla rivista un mio intervento, ripreso successivamente nella lista di discussione on line della Associazione Italiana Biblioteche, in cui scherzavo un po' sullo "specifico bibliotecario", come un tempo si faceva per il cinema: mi pareva che la biblioteca potesse essere vista ovviamente come un centro di vita culturale, con tratti peculiari comunque riferibili alla sua storia ai suoi contenuti: nello stesso tempo, rubando l'espressione da una relazione tenuta nel congresso mondiale delle biblioteche di quell'anno proponevo l'espressione inglese "hub", in uso negli aeroporti e in informatica, per indicare uno spazio di scambio e di relazione culturale: hub si può tradurre con "perno" o snodo che si vorrebbero al centro della vita comunitaria, o per usare una espressione adottata da Umberto Eco qualche tempo prima in un discussione sulla paideia contemporanea, un "metanodo", ossia un luogo di convergenza e scambio di conglomerati di saperi.

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