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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2011 alle ore 17:04.

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Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev che si sorridono nel riquadro fotografico di copertina: l'edizione italiana del nuovo libro di Hélène Carrère d'Encausse «La Russia tra due mondi» (Salerno editrice) è quasi un'anteprima delle elezioni legislative del 4 dicembre, cui seguiranno in marzo quelle presidenziali. E il tandem Putin-Medvedev prepara lo scambio dei ruoli, restando entrambi al potere.

Storica della Russia zarista e dell'Unione Sovietica, accademica di Francia, la Carrère d'Encausse esamina in questo agile, ma documentato saggio, la politica russa degli ultimi vent'anni, dall'uscita di scena di Michail Gorbaciov e dall'insediamento al Cremlino di Boris Eltsin (giudicato con benevolenza) fino a oggi.
Se per gli Stati europei "satelliti" dell'Urss e per la maggior parte dei paesi la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, coincide con la fine del comunismo e del XX secolo, per i russi una data fondamentale è invece l'8 dicembre 1991, «quando in un istante, come per incanto, scompare la potente Unione Sovietica».

Così scrive l'autrice del libro, che subito dopo si chiede dove va situata la nuova Russia, rispetto all'Europa e rispetto a ciò che essa fu per secoli. Gorbaciov riteneva senza esitazione che l'Europa è la casa comune dei russi (all'epoca ancora sovietici). Oppure, data la lunga successione di invasioni subite, non si possono forse considerare i suoi abitanti "euroasiatici"? Nel 1992 Eltsin dismise più di un quarto dei territori dell'ex Urss, ma la Russia resta il più vasto paese al mondo e ancora preoccupa per la sua potenza. Da parte loro, invece, «i russi – prosegue la Carrère d'Encausse – pensano che l'uscita dal comunismo pagata a un prezzo molto alto, la fine dell'impero, la riduzione dello spazio e della popolazione non siano stati apprezzati dagli occidentali, e mettono a confronto il sostegno offerto dall'Occidente alle ex democrazie popolari con l'indifferenza, se non l'incomprensione di cui si sentono vittime.(…) Umiliata da questo regresso, la società russa assiste oggi con entusiasmo al ritorno della potenza, anche se non è perfettamente in grado di misurarne la realtà e la modernità».

La guerra russo-georgiana dell'agosto 2008 ha fatto capire a tutti che, nel mondo post-Guerra fredda, Mosca e Pechino vanno assumendo un'importanza crescente. E proprio il ritorno della Russia quale potenza riconosciuta sulla scena internazionale ha orientato l'azione di Vladimir Putin, che ha governato pressoché ininterrottamente nell'ultimo decennio, come primo ministro o come presidente della Repubblica. «I russi – chiosa la Carrère d'Encausse - gliene attribuiscono il merito e lo acclamano. Forte di questo consenso, Putin può immaginare di tornare al Cremlino al termine del mandato del suo successore».

E così molto probabilmente sarà: nell'ultimo congresso del partito Russia Unita, in settembre, il presidente Medvedev ha proposto di sostenere il premier Putin come candidato alle presidenziali di marzo; a seguire è toccato a Putin proporre Medvedev come capolista del partito Russia Unita e candidato premier alle elezioni legislative del 4 dicembre.

A una settimana dal voto, però, la stella di Putin si è comunque un po' offuscata. Secondo l'ultimo sondaggio effettuato dal Centro demoscopico Levada prima del silenzio pre-elettorale, il partito Russia Unita perderebbe la maggioranza costituzionale dei due terzi della Duma (la Camera bassa russa) scendendo dal 64% dei voti ottenuti nel 2007 al 53%, con la conseguente riduzione dei seggi dagli attuali 315 a 252-253, su un totale di 450.

«Aumenta la sensazione che le elezioni siano manipolate e questo sta delegittimando l'intero sistema di potere - ha dichiarato il direttore del Levada center Lev Gudkov - Russia Unita sta conducendo una campagna elettorale debole, non ha molto a livello di programma e il "brand" di Putin sta invecchiando». Ad approfittare dell'emorragia di voti del partito putiniano sarebbero i comunisti e i liberaldemocratici dell'ultranazionalista Vladimir Zhirinovksi: i primi, secondo il sondaggio di Levada, raddoppierebbero i consensi arrivando al 20% con 94 seggi (contro l'11,5% del 2007), mentre i secondi passerebbero dall' 8,1% di quattro anni fa al 12% (con 59 seggi contro gli attuali 40).

Nelle presidenziali del prossimo marzo, invece, Putin vincerebbe facilmente al primo turno, ma non tanto per meriti particolari, quanto «perché la concorrenza politica è stata cancellata, i rivali messi da parte», ha proseguito Gudkov. In effetti finora hanno annunciato di voler correre sfidanti non irresistibili, come il leader comunista Ghennadi Ziuganov o l'istrionico Zhirinovski. E se alle presidenziali partecipasse anche Medvedev, sempre secondo il sondaggio di Levada, il suo consenso si fermerebbe al 7%, un punto sopra Zhirinovski e uno sotto Ziuganov.

Un dato che preoccupa, appunto perché Putin ha affidato a Medvedev il ruolo di capolista alle prossime elezioni legislative: in caso di "débacle", l'attuale presidente rischia di fare da parafulmine e di veder sfumare anche la promessa di guidare il prossimo governo. Ovvio che Putin stia cercando di correre ai ripari: la sconfitta di Russia Unita, ha ammonito, potrebbe far piombare il paese in una crisi economica da recessione «come quella dei nostri amici in Europa».

Hélène Carrère d'Encausse, «La Russia tra due mondi», Salerno editrice, Roma, pagg. 236, € 15,00

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