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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2011 alle ore 08:17.

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Uno tra gli aspetti positivi della globalizzazione è indubbiamente quello di creare un sistema di ponti fra civiltà diverse come forse non è mai successo. È pur vero che al fenomeno si accompagna sovente la tendenza per cui in questi crocevia di società una miri a modificare le altre per renderle il più possibile simili a sé; un fatto deplorevole e riduttivo della ricchezza prodotta dal rapporto col diverso. Perciò si parla sempre più di intercultura come via per ricercare l'incontro fra le culture altre da sé e il termine sta diventando sinonimo, sempre più attuale, del percorso mirante non a produrre acculturazioni quanto piuttosto arricchimenti umani reciproci. Tuttavia nei secoli, se non nei millenni, si possono trovare esempi notevoli di questa pratica e della sua regolamentazione, perciò essa risulta ben radicata nella struttura stessa dell'uomo e nella sua necessità fondamentale di andare incontro al diverso.
Un esempio illuminante è fornito dal l'esperienza di vita e di missione in Asia di Alessandro Valignano (Chieti 1539 - Macao 1606) e in modo particolare da un vero e proprio manuale d'interculturalità, Il cerimoniale per i missionari del Giappone ch'egli scrisse negli anni del suo incarico di "Visitatore" della Compagnia di Gesù in Estremo Oriente dove, tra il 1573 e la morte, trascorse ben dieci anni. Il Visitatore dipendeva direttamente dal Generale dell'ordine ed era la massima autorità nelle missioni a est del Capo di Buona Speranza e quindi soprintendeva a tutte le missioni da Goa al Giappone.
Questo interessantissimo documento, sostituito dallo stesso Valignano col più sintetico Libro delle regole nel 1592, fu pubblicato in edizione scientifica nel 1946 a cura di Josef Franz Schütte e viene riproposto oggi in anastatica dalle Edizioni di Storia e Letteratura di Roma per la cura di Michela Catto.
Ed è la curatrice a fornire la chiave per intendere la concezione che sottostava alle norme dettate dal Valignano per regolare i rapporti con le culture asiatiche, soprattutto quella giapponese, ai fini della diffusione del cattolicesimo. Egli si ispirò «a ciò che la Compagnia di Gesù già praticava in Europa – scuole di dottrina cristiana, educazione delle élites nei suoi collegi – e dunque al controllo culturale della società dai suoi vertici; ma anche, con decisione presa in grande rapidità rispetto a quanto gli stessi gesuiti fecero per le missioni americane, di formare gesuiti giapponesi per superare il senso di estraneità che la popolazione autoctona nutriva nei confronti di ciò che era straniero e quindi "barbaro". Era l'inizio di una nuova tecnica e strategia missionaria».
Il testo rivela senza mezze misure la volontà di entrare in contatto con la cultura del luogo e possibilmente controllarla allo scopo di propaganda della fede. Tuttavia essa rivela anche la disposizione di rispettarne se non addirittura assumerne varie modalità, fino anche a oltrepassare i limiti di alcune pratiche della propria fede. Alla disposizione per esempio 42 il Valignano esorta affinché «non si facciano fuori di casa mortificazioni di nessuna sorte, né si mandino i nostri in pellegrinaggio laceri e malvestiti come poveri, sì per il pericolo che corrono, come anche, perché con questo distruggono e menomano presso i Giapponesi la riputazione della religione».
Queste e molte altre attenzioni, indicate dal l'autore per entrare opportunamente nella società giapponese a ogni livello e con minimo scalpore, sono da far risalire, secondo la Catto, alla «cultura europea delle "buone maniere", i codici comportamentali del Cinquecento che – complice anche una letteratura spirituale sempre più specialistica in questo senso – aveva reso universale il principio della disciplina del proprio corpo, l'adozione di tecniche comportamentali adeguate al proprio status e a quello del proprio interlocutore».
Il Valignano aveva un'ottima formazione accademica avendo studiato diritto all'Università di Padova e questo fatto ebbe notevole influsso nell'esercizio del suo potere in Asia. Egli si rendeva conto che non vi era possibile alcuna penetrazione senza qualche sottomissione alle regole vigenti nei vari paesi e che il primo strumento era l'ottima conoscenza delle lingue. Da lui sviluppò la celebre scuola gesuitica in Cina – che ebbe nell'allievo di Valignano, Matteo Ricci (Macerata 1552 - Pechino 1610), la figura di punta – e in Giappone dove già nel 1595 il Visitatore poteva vantare la produzione di un dizionario, una grammatica e diversi libri di vite di santi. E sulla sua vita e opera è appena uscito il bel libro di Vittorio Volpi Il Visitatore. Alessandro Valignano. Un grande maestro italiano in Asia, edizione aggiornata di Spirali del precedente Il Visitatore. Un testimone oculare nel misterioso Giappone del XVI secolo, edito da Piemme (recensione 5-12-2004) e ormai introvabile.
Il Cerimoniale che, anche nelle forme in cui si sviluppò in seguito, divenne una sorta di regola per i rapporti dei missionari gesuiti in tutta l'Asia, fu creato intorno alla realtà del Giappone dove Valignano dovette superare la resistenza del Superiore Francisco Cabral (Covilham 1533 - Goa 1609). Questi riteneva che i convertiti giapponesi non dovessero assolutamente salire all'interno della gerarchia della Compagnia, mentre per Valignano non doveva esser fatta differenza fra essi e gli europei.
Un approccio certo ben diverso da quanto applicato in America Latina, ma foriero di tempesta per la Compagnia e la sua politica di interculturalità ante litteram. Di lì a poco la gelosia e il rigore formale di altri ordini religiosi innescò dalla Cina la famosa «controversia dei riti» con addirittura l'abolizione, anche se temporanea, dell'ordine stesso dei gesuiti. Non sempre l'accettazione del diverso è ben vista, anche se imprescindibile per la crescita dell'uomo.

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