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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2011 alle ore 15:39.

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«Avremo sempre Parigi» sussurrava Humphrey Bogart a una commossa Ingrid Bergman in una delle scene più drammatiche dell'intera storia del cinema. Chissà che Woody Allen non abbia pensato a questa battuta del suo amato «Casablanca», mentre rifletteva su dove avrebbe ambientato la sua ultima fatica, «Midnight in Paris»: per la coppia del film di Michael Curtiz del 1942 la capitale francese era il luogo dell'innamoramento e dei giorni spensierati prima della guerra, per il regista americano poteva essere la metropoli dove ritrovare quella verve creativa smarrita ormai da diversi anni.

Scelto come apertura dello scorso Festival di Cannes e riproposto nella sezione Festa Mobile del Torino Film Festival, «Midnight in Paris» ha per protagonista Gil, sceneggiatore hollywoodiano con velleità di romanziere, che si trova a Parigi, insieme alla fidanzata Inez e ai futuri suoceri, per una breve vacanza. Tutto sembra procedere noiosamente fino a quando, una sera a mezzanotte, Gil si ritroverà catapultato nella Parigi degli anni '20 incontrando i suoi miti di sempre.

Mascherata da elegante ritratto d'epoca, la pellicola di Allen, in uscita questo venerdì anche nelle nostre sale, nasconde in realtà un contenuto superficiale che rischia di banalizzare, più che omaggiare, le storiche figure artistiche riproposte sulla scena. La riflessione, inerente al desiderio di vivere sempre nel passato, che il film cerca di sostenere è semplicistica e poco originale, tanto da sembrare più degna di una quarta di copertina di un libro per ragazzi piuttosto che di una rappresentazione sul grande schermo.

Mentre la tanto chiacchierata partecipazione di Carla Bruni dura soltanto lo spazio di alcuni brevi camei, è da sottolineare la buona performance di Owen Wilson, credibilissimo alter ego del regista, che quasi da solo riesce a farci percepire il film come un piccolo passo in avanti rispetto al precedente lavoro di Allen, «Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni».

Certamente però non può bastare un attore per soddisfare i tanti fan che ancora si aspettano una pellicola degna di un (ex?) grande autore con un nome di tanto rilievo.

Se il cinema di Woody Allen appare sempre più attempato, al Torino Film Festival sono stati presentati anche diversi titoli particolarmente "freschi", diretti da registi esordienti. Tra questi si può segnalare «Bad Posture», opera prima di finzione del giovanissimo Malcolm Murray.

Il regista, classe 1984, racconta la quotidianità di Flo e Terry, due amici di circa 25 anni, che passano le loro giornate cercando di arricchirsi senza troppi scrupoli. Tra spaccio di droga e piccoli crimini, le cose cambieranno quando Flo s'innamorerà di Marisa, ragazza vittima di un furto d'auto a opera dei due.

Ambientato ad Albuquerque, la città più grande del New Mexico dove Murray è cresciuto, «Bad Posture» è un intenso ritratto della disperazione contemporanea dell'America più povera, quella dove il sogno a stelle e strisce è svanito già da un pezzo.

Seppur con tutti i limiti dell'opera prima, riscontrabili in particolare in una sceneggiatura altalenante, «Bad Posture» è una delle più interessanti sorprese viste a Torino, grazie soprattutto alla solida messa in scena di un regista il cui nome sarà da tenere in seria considerazione per il futuro.

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