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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2011 alle ore 10:20.

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Patrizia Valduga, quartine
La sento la mia vita, me la imparo,
fino al fegato adesso, fino al fiele;
oh nera un tempo enorme senza chiaro,
fedele della notte più infedele.

Vuota il tuo sacco, su', parla, poetessa:
io fiorisco e mi sfoglio e rigermoglio
per dare la procura di me stessa
a chi non può o non vuole quel che voglio.

Dicevo: Amore mio, vorrei annegare
nell'acqua chiara dei tuoi occhi chiari,
finire finalmente di aspettare
giovani giorni, cari giorni chiari.

Per me dentro di me oltre la mente
il suo corpo su me come una coltre
ma oltre il corpo in me furiosamente
in me fuori di me oltre per oltre…

Oh, l'inutilità di questi affanni
la conosco a memoria, inutilmente;
e nel peso degli utili e dei danni
connetto notte a notte e niente a niente.

Osceno e sacro l'amore delibera
stessa sede per sé e per gli escrementi.
Se non mi leghi io non sarò mai libera,
né casta mai se tu non mi violenti.

Io mi arrendo, congedo i miei soldati,
la mia legione di sogni e di versi.
Combattete per altri disarmati,
vincete in verità, miei sogni in versi.

Patrizia Valduga è nata a Castelfranco Veneto nel 1953, vive a Milano. Ha esordito nel 1982 con Medicamenta, una raccolta di poesia che contiene tutti i generi metrici tradizionali, dal sonetto all'ottava, dalle terzine dantesche alle stanze di ballata. I suoi ultimi lavori sono Lezioni d'amore (2004) e il Breviario Proustiano, appena pubblicato da Einaudi, che contiene, divise per temi, circa 1.500 pensieri tratti dalla Recherche di Marcel Proust, nella traduzione di Giovanni Raboni. Raboni è stato il suo compagno per ventitré anni, fino alla morte.

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