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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2011 alle ore 18:09.

Ci si chiede, non da oggi, che cosa possa sollecitare un adolescente, o addirittura un bambino che abbia scoperto in sé (o l'abbiano scoperto i genitori) una particolare disposizione per la musica, a virare verso il jazz. L'argomento va molto setacciato e circoscritto. Per esempio, il pianista nero-americano Christian Sands che ha 22 anni e studiava e suonava il pianoforte quando ne aveva tre, era predestinato a diventare un fenomeno del jazz, piuttosto che della musica accademica (la "musica forte", secondo la nuova e bella definizione del musicologo Quirino Principe).
Nel Duemila si possono trascurare anche gli autodidatti di rilievo che sono sempre più rari. Il nostro pargolo o giovanissimo, pertanto, è un europeo che intraprende presto (di solito a cinque o sei anni) lo studio della musica, sceglie lo strumento preferito e frequenta il conservatorio. Per comodità di chi scrive e soprattutto di chi legge, facciamo che sia un italiano e ripetiamoci la domanda di cui sopra.
Spesso c'è di mezzo il caso o addirittura una folgorazione: il padre (più raramente la madre) cultore di jazz, il fratello maggiore che acquista con competenza gli ultimi dischi, e fra questi ce n'è uno che diventa la classica strada di Damasco…Si possono citare casi illustri come quello del trombettista torinese Enrico Rava o della pianista romana Rita Marcotulli, già allieva del conservatorio della capitale e condizionata dalla passione per il jazz e per il cinema che si ritrova in casa fin da bambina, per cui oggi è una delle migliori improvvisatrici in campo internazionale e nello stesso tempo interprete di musiche ispirate ai film dell'amatissimo François Truffaut e autrice di colonne sonore. Meno frequente è il ragazzino che ha in sé qualcosa di innato che lo sospinge fin dal principio verso il jazz, tuttavia anche qui gli esempi non mancano.
A questo punto mi sono ricordato di avere quasi a disposizione, per lunga conoscenza reciproca, il protagonista di un itinerario jazzistico complesso e quindi emblematico, quello del pianista e compositore milanese Antonio Zambrini, e gli ho chiesto un colloquio sul tema che mi ha cortesemente accordato. Zambrini ha 48 anni, perciò appartiene alla generazione di mezzo. E' al centro della ribalta del jazz – nazionale prima, internazionale poi – da più di vent'anni, suonando lo strumento al quale da ragazzo non aveva pensato: il pianoforte, appunto. Viene da una famiglia in cui la musica era tenuta in grande onore: la madre cantante di melodramma, il padre supercompetente, due fratelli che intraprendono studi musicali mentre lui in una prima fase rimane un po' in ombra. Ma ecco che recupera imparando a suonare la chitarra e il flauto traverso. A 17/18 anni (di solito succede prima) scopre il jazz e va a studiare nella Jazz University di Siena, come ormai tutti la chiamano, e suona il flauto nel gruppo di Enrico Rava ("quello con Mauro Beggio alla batteria", precisa: siamo nel 1980).
Il pianoforte jazz viene incontro a Zambrini con lo storico long playing del pianista Chick Corea e del vibrafonista Gary Burton inciso nel 1979. Dal vivo ascolta lo strumento durante i concerti italiani dei gruppi di Gerry Mulligan con il giovane e brillante pianista Mitchel Forman, e dedica viva attenzione al disco "I Will Say Goobye" del trio del pianista Bill Evans con Eddie Gomez contrabbasso ed Elliot Zigmund batteria. Nello stesso tempo Zambrini studia composizione dove c'è il pianoforte come materia complementare, e nel 1990 – fra la sorpresa generale, compreso quella del sottoscritto – si diploma in direzione di coro.
Eccolo infine a studiare a Siena come pianista di jazz, a compiere i primi tour, a presentarsi in un jazz club milanese, il Tangram (che purtroppo non c'è più) dove suscita l'ammirazione generale. Nel 1998 pubblica il primo cd a suo nome per la Splasc(h), "Antonia e altre canzoni", in trio con Tito Mangialajo Rantzer contrabbasso e Carlo Virzi batteria. A tutt'oggi, se non ho contato male, gli album a suo nome sono dodici (oltre a quelli sotto nome altrui, non pochi, perché il nostro è ora uno dei pianisti, compositori, arrangiatori e insegnanti più richiesti, per esempio da Simona Severini, la cantante italiana del futuro). I "magnifici dodici" sono uno più bello dell'altro, ma Zambrini li osserva con il tranquillo understatement che è la sua tipicità. Fra le sue varie ed eventuali discografiche vicine e lontane ci sono un duo pianistico con Rita Marcotulli e un'altra possibilità con Elliot Zigmund. Come dire: le vie della musica sono infinite.
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