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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2011 alle ore 08:15.

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Jean Clair (vero nome Gérard Régnier, Parigi, 1940), è uno storico e critico francese ed è il vincitore del Premio Cardarelli per la critica internazionale. Clair ci indica uno stile della critica e un modello intellettuale. Sarebbe ingiusto riportarlo unicamente a un ambito specialistico, di storico dell'arte. Piuttosto la sua riflessione sulla cultura rinvia ad alcune attitudini indispensabili all'attività critica, indipendentemente dalla disciplina di applicazione. Mi riferisco alla sua sensibilità "politica", nell'accezione meno angusta del termine. E cioè alla percezione dei conflitti decisivi del proprio tempo, di come questi conflitti attraversino fatalmente ogni linguaggio, ogni esperienza (affettiva, intellettuale, morale...).
E dunque alla necessità di "schierarsi". Qui la sociologia c'entra pochissimo. Così come il vetusto engagement. È in gioco la capacità di collocare se stessi in un'epoca storica e in una situazione precisa: «Un uomo è legato a una città, non a un mondo indifferenziato o insensato, appartiene a una città, una civitas, una civiltà» (Clair). Sapere dove si sta, riuscire a orientarsi. Come quando Hans Magnus Enzensberger discorrendo del linguaggio della poesia moderna, nel 1962, avvertiva il bisogno di parlare della «situazione storica» e notava che per capire la poesia moderna occorre, tra l'altro, registrare la caduta di ogni distinzione tra centro e provincia. La critica diventa così ricognizione territoriale, verifica dei poteri, diagnosi di civiltà e, secondo una celebre formula ottocentesca di Matthew Arnold, «critica della vita». Possiamo non condividere la polemica impietosa (benché argomentata) di Clair contro l'ideologia dell'avanguardia, in cui stigmatizza la perversa congiunzione di arte e crimine, o la sua denuncia della folla solitaria dei visitatori odierni dei musei, in cerca di una "scossa" che li salvi dalla noia. Ma senza quella interrogazione radicale sulle sorti della cultura qualsiasi critica apparirebbe oggi un esercizio burocratico. Nel recente Inverno della cultura, Clair descrive, con straordinaria drammaturgia saggistica, un fenomeno attuale che ha la grandiosità spettrale di un evento mitologico: il tramonto della cultura, la sua mummificazione. Tale evento viene scandito, mi sembra, da tre momenti distinti.
La cultura è divenuta: 1) incomprensibile (legata a un passato e a un modo di vita troppo distante); 2) depotenziata (ha perso il pungiglione, come scrisse Edgard Wind dell'arte moderna: ridotta a consumo innocuo e decorativo, status symbol, superstizione, avventura low cost, feticcio mondano, spettacolo); 3) mercificata (business e investimento – specie nell'arte –, strumento di riqualificazione urbana, aroma esclusivo richiesto in ogni prodotto, dall'auto "Picasso" al bar disegnato dallo stilista).
Ora, perché la "ripugnante" idolatria del culturale – che poi (contraddittoriamente) si accompagna secondo l'autore a vandalismi, furti, sarcasmo di fronte alle opere, eccetera – non equivale all'amore per la cultura? Per la ragione che adora nell'opera non il suo significato – sempre in qualche modo disturbante, scandaloso – ma la sua "vernice", che fa sentire più nobili e più chic. Il grande difetto di pittura e scultura, annota Clair, «è che non sono divertenti». Già, e neanche la letteratura è stata scritta solo per intrattenere. Baudelaire chiamava l'arte «le domeniche della vita», però nel momento in cui «è sempre domenica, e i negozi aprono ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette» (Vicente Verdù), allora l'esistenza si trasforma in un consumo ininterrotto di forme, in un godimento coatto, senza pause, così come don Giovanni «è l'uomo perennemente condannato all'istante». Le pagine di Clair mi evocano un bellissimo pamphlet di mezzo secolo fa, Al di là della cultura di Lionel Trilling, critico letterario neoumanista e dall'orecchio finissimo. Il saggista americano, insegnante a Columbia, confessa la tentazione di premiare non lo studente più preparato, che manipola troppo disinvoltamente parole e formule correnti, ma lo studente con più carattere, anche un pò «refrattario», che prende sul serio le idee nelle opere. E aggiunge che un docente dopo avere spiegato gli aspetti formali e strutturali di un testo, le sue prosodie e le figure del discorso, eccetera alla fine dovrà «dichiarare se quell'opera è vera o falsa, e perché». Ecco, quest'atto rischioso – ma anche elementare – di giudizio, di risposta all'appello muto che ci rivolge un'opera, potrebbe essere l'unico modo per resistere al lungo inverno della cultura.
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Jean Clair, L'inverno della cultura, Skira, Milano, pagg. 112, € 16,00.
il premio a tarquinia
Si terrà il 10 dicembre (alle 18) nella Chiesa di S. Maria in Castello la cerimonia di premiazione del Premio Cardarelli 2011. La serata è presentata da Serena Dandini. Ecco i vincitori: Jean Clair, premio per la critica internazionale; Raffaele La Capria: premio per la critica italiana; Serena Vitale per la storia della letteratura e della filologia; Emilio Zucchi per la poesia; Marsilio Editori per l'editoria piccola e media di qualità; Giovanni De Leva per l'opera prima di critica letteraria, Dalla trama al personaggio. "Rubè" di Giuseppe Antonio Borgese» (Liguori Editore). Il Processo a Paolo Crepet, con Luca Telese alla difesa e Massimo Raffaeli all'accusa, si terrà
il 9 alle 17 nella Sala Consiliare del Palazzo Comunale di Tarquinia.

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