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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2011 alle ore 08:15.

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Allen Frances, classe 1942, è un pezzo di storia della psichiatria. Ha presieduto i lavori del comitato scientifico di quel l'American Psychiatric Association (Apa) che, nel 1994, partorì la quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-IV): 886 pagine, 297 disturbi. Oggi, capelli bianchi e abbronzatura alla Robert Redford, Frances è un professore emerito che vorrebbe godersi la pensione in California. Invece, è reduce da un giro di conferenze, anche in Italia, dal titolo «Usi e abusi della diagnosi in psichiatria». Oggetto della sua preoccupazione, e delle sue critiche severe, sono i criteri proposti (li trovate su www.dsm5.org) per la quinta edizione del Dsm, la cui uscita è prevista nel maggio 2013. Del Dsm-5 (da romana la numerazione è diventata araba, quindi Dsm-5), ha parlato su queste pagine Gilberto Corbellini più di un anno fa («Disturbi mentali, il catalogo è questo», 22 marzo 2010), raccontandone costi e ricavi ed elencando le principali novità: maggior attenzione agli aspetti dimensionali della diagnosi (cioè non solo la presenza/assenza di un sintomo o di un disturbo, ma anche la sua intensità), semplificazione di diagnosi "complesse" quali schizofrenia e autismo, riduzione del numero dei disturbi di personalità, revisione del quadro nosografico delle "dipendenze", con introduzione di nuove dipendenze comportamentali, per esempio da internet.
Ma cosa preoccupa Frances, al punto da invitare l'intera comunità dei professionisti della salute mentale a firmare una petizione (www.ipetitions.com/petition/Dsm5) e perorare una users'revolt, una ribellione degli utenti del Dsm? Petizione a cui l'Apa, proprio in questi giorni, ha fornito risposte tese più ad appiattire i contrasti che ad affrontare le critiche, attraverso quelle che lo stesso Frances ha definito «formule bizantine» che sostanzialmente ignorano il problema.
Un punto di partenza per descrivere questa rivolta fantapsichiatrica potrebbe essere il mancato coinvolgimento degli psicologi come comunità professionale nella stesura del Dsm-5. La marginalizzazione degli psicologi è un problema delicato dato che questi non solo applicano il Dsm nella pratica clinica, ma conducono anche ricerche sulla base delle sue categorie diagnostiche. Le critiche contenute nella petizione anti Dsm-5 sono infatti sottoscritte da un lungo elenco di divisions dell'American Psychological Association. Poco prima si era mossa in modo simile la British Psychological Society. L'anno scorso, un autorevole cartello di esperti (Shedler, Beck, Fonagy, Gabbard, Gunderson, Kernberg, Michels e Westen) aveva lanciato un allarme sul futuro diagnostico dei disturbi di personalità, una delle diagnosi più importanti nel campo della salute mentale (basti pensare al loro ruolo in ambito forense). In particolare suscitò scalpore, tra noi addetti ai lavori, l'esclusione dal Manuale di alcuni importanti disturbi di personalità, quali il paranoide, lo schizoide, l'istrionico, il dipendente e soprattutto il narcisistico. Tanto che, nel giugno 2011, l'American Psychiatric Association si sentì costretta a reinserire tra le diagnosi almeno quest'ultimo, accogliendo così in parte le osservazioni dei molti clinici che vedevano nella sua eliminazione l'affacciarsi di una pericolosa scollatura tra la realtà clinica e le categorie diagnostiche, oltre che la preoccupante eliminazione di tutte le manifestazioni psicopatologiche non immediatamente riducibili a meccanismi di tipo biologico. Ma il dissenso era ormai diffuso e, proprio dalle pagine dell'American Journal of Psychiatry, questi clinici internazionalmente noti definivano la diagnostica di personalità targata Dsm-5 «un agglomerato poco maneggevole di modelli disparati e male assortiti, che rischia di trovare pochi clinici disposti ad avere la pazienza e la costanza di farne effettivamente uso nella loro pratica». Anche in Italia si è mosso qualcosa: un gruppo di clinici e ricercatori di diversa formazione (Lingiardi, Ammaniti, Dazzi, Del Corno, Liotti, Maffei, Mancini, Migone, Rossi Monti, Semerari, Zennaro) ha voluto inviare all'Apa una lettera con le proprie perplessità sul tema. E anche l'ultima Newsletter dell'Ordine degli psicologi del Lazio presenta un analogo documento critico.
Ricordo che il Dsm è probabilmente il sistema diagnostico in psichiatria più usato al mondo. Se i suoi meriti sono noti, primo tra tutti il tentativo di creare una lingua comune e principi condivisi per descrivere i disturbi mentali, i punti di debolezza dell'imminente Dsm-5 sono sotto i riflettori. Proviamo a riassumerli: 1. «abbassamento delle soglie diagnostiche» col conseguente accresciuto rischio di falsi positivi (viene diagnosticato un disturbo mentale che non c'è) e relativa medicalizzazione (psicofarmaci compresi) di soggetti non clinici; 2. «inserimento di nuove categorie diagnostiche» dubbie, come la «sindrome psicotica attenuata», che sembra peraltro avere un basso potere predittivo rispetto allo sviluppo successivo di una sindrome psicotica vera e propria, e il «disturbo neurocognitivo lieve», diagnosticabile nella maggior parte degli anziani; oppure l'eliminazione del precedente criterio che impedisce di far diagnosi di «depressione maggiore» in presenza di un lutto (per cui sarà più facile diagnosticare come sindromi depressive, e quindi medicalizzare, alcune reazioni di lutto normali); 3. «minore attenzione al peso dei fattori psicologici, sociali e culturali» nella genesi e nell'espressione dei disturbi mentali; 4. «eccessiva polarizzazione medico-organicista», dal punto di vista sia teorico sia clinico; 5. la già citata inadeguatezza della «revisione dei disturbi di personalità».

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