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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2011 alle ore 08:16.

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«La democrazia è innovazione, non tradizione: in questo consiste il suo legame con l'apertura». Questo è l'incipit del nuovo libro di Alessandro Ferrara, uno dei più interessanti filosofi politici italiani contemporanei, intitolato per l'appunto Democrazia e apertura e recentemente pubblicato da Bruno Mondadori. L'elogio dell'apertura, che tra l'altro non nega la presenza di un ethos tradizionale nella democrazia, intende essere una riposta alla riflessione da più parti sulla necessità di de-democratizzare il nostro mondo.
È un fatto curioso, ma da quando la democrazia è diventata ubiqua e necessaria - la forma di governo legittima per antonomasia - in qualche modo è finita per essere agli occhi di molti anche noiosa e difficilmente gestibile. È a questo trend post-democratico se non addirittura anti-democratico che Ferrara intende reagire. La sua proposta è così orientata all'aprirsi della democrazia, che poi significa avere la capacità da parte sua di raccogliere nuove sfide e trasformarsi progressivamente nell'ottica di queste sfide. Tale indispensabile apertura non può avvenire però - sostiene Ferrara - semplicemente concependo la democrazia dal punto di vista procedurale. Richiede invece un ethos e uno stile, e in somma uno spirito. Le sfide che la democrazia deve oggi affrontare sono ben note a tutti, a cominciare dalla finanziarizzazione dell'economia fino alla tecnocrazia imperante. Sono codeste "condizioni inospitali" in cui la democrazia deve sopravvivere e a cui deve trovare risposta.
Ma, direi ovviamente, la parte più stimolante del libro di Ferrara non consiste nelle risposte empiriche che la democrazia può trovare in tempi difficili, e neppure nell'analisi, concettuale e teoretica, peraltro pregevole, della democrazia. Consiste invece nei due capitoli finali, in cui la proposta normativa dell'autore viene fuori con chiarezza, nel confronto con i maggiori pensatori contemporanei a cominciare da Habermas e Rawls.
In particolare, innovativa appare l'idea di un pluralismo "riflessivo", qui contrapposto a quello liberale classico. La liberal-democrazia si può positivamente aprire - sembra essere la tesi - solo se risponde al pluralismo tramite la forma della "congettura" di rawlsiana memoria. La congettura, così concepita, non poggia su principi ma sulla realizzazione esemplare del nucleo dottrinale da cui prende le mosse iniziali.
Chi conosce il lavoro precedente di Ferrara comprende qui quale sia il punto in questione, cosa che difficilmente può succedere al lettore più sprovveduto. L'uno e l'altro lettore, il colto e l'inclita se vogliamo, restano comunque con la curiosità di saperne di più in proposito. Curiosità che sicuramente Ferrara sarà in grado di soddisfare nel prossimo futuro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alessandro Ferrara, Democrazia e apertura, Bruno Mondadori, Milano, pagg. 154, € 16

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